31 agosto 2017

Otztaler 2017, l'impresa è fatta.

Inverno, Primavera, Estate a preparare questi tre giorni. E questi tre giorni sono arrivati. Ma è la Domenica il giorno più importante, ormai pensiero fisso da inizio Febbraio.

È arrivata dopo una lunga dormita un po' nervosa la giornata che aspettavamo da mesi. Non ci sono nuvole in cielo, l’aria è fresca e profuma ancora della pioggia caduta nella notte.

Ognuno ha le sue abitudini, ognuno le sue scaramanzie. Mentre Loris va in griglia alle 5:30 per essere davanti io e Matteo andiamo all’ultimo minuto per partire dietro.

La partenza è incredibile. Sono le 6:45 e Sölden brulica di persone che fanno tifo da stadio accompagnati dalla musica a tutto volume del palco di partenza. L’ansia sparisce, l’adrenalina si impossessa delle gambe e la cosa più difficile è trattenerla, perché in questa lunga giornata averne un po' di scorta sarà importante.

Le parti facili di questa manifestazione sono partenza e arrivo. Si parte in discesa si arriva in discesa. Il resto è tutto una conquista.

La prima salita, il Kuhtai, è lunga diciotto chilometri, trafficata dal gruppone ancora compatto soprattutto nei primi pendenti chilometri per uscire da Otz, poi è solo bosco, con il rumore dell’acqua che scorre a lato strada e le mucche in cima che pascolano libere, un po' intimorite da tutte queste bici.

La discesa è folle. Si possono toccare anche i cento km/h e in poco meno di mezz’ora si arriva in centro a Innsbruck. La si costeggia e poi si comincia a salire verso l’Italia, verso il Brennero.

Quasi quaranta chilometri di falsopiano a salire, tanto belli quanto logoranti e traditori. Spendere troppo in questa salita vuol dire rischiare grosso nei chilometri successivi. E non è facile trattenersi dall’andare dietro a gruppetti di passistoni tedeschi che sfrecciano lungo le curve della statale. Il tifo anche sul Brennero è incessante, ogni paese che si attraversa è un applaudire costante di folla entusiasta che ti incita a squarciagola.

Si entra in Italia e finisce la salita. Una piccola e veloce sosta al ristoro per riempire le borracce e mangiare un panino al formaggio e si riparte subito. Pochi chilometri, si arriva a Vipiteno e si comincia a salire sul Passo Giovo. Quindici chilometri per arrivare a duemila metri di altezza. Una salita agevole ma costante con gli ultimi tre chilometri a vista del passo che la rendono interminabile.

Dall’alto è uno spettacolo, il serpentone dei ciclisti intenti a salire rende animate anche le rocce, e lo scenario di un cielo che è strada per nuvole veloci, sopra a queste immense montagne, riesce a farti addormentare la fatica e rinvigorire la voglia di andare avanti.

E la voglia di andare avanti, di arrivare a Sölden, è tutto quello che serve per affrontare il Rombo, l’ultima salita di giornata.

Passo del Rombo per gli Italiani, Timmelsjoch per gli Austriaci, trenta chilometri, che vanno dai settecento metri di San Leonardo, ai 2500 del Passo.

Trenta chilometri di salita dopo quasi centoottanta già percorsi.

Trenta chilometri durissimi che mettono alla prova tutto te stesso. Primi sette chilometri agevoli, poi da Moso la strada diventa cattiva, inesorabile, si arrampica sui boschi tirolesi con violenza inaudita. Per sette chilometri non c’è pausa, non un metro di riposo, poi la strada spiana, prima lievemente, poi più convinta. Qualche chilometro di respiro, poi ai meno dieci la strada ricomincia a salire, si cambia versante e dai meno otto sono tutti al dieci per cento. Salgono lungo la montagna con drittoni che sembrano infiniti ma che si interrompono improvvisamente con decisi tornanti.

Non sei mai solo sul Rombo, anche se in realtà lo sei sempre. Solo con la tua fatica, con i tuoi pensieri, finché hai forza di farne.

Poi ai meno due chilometri alzi lo sguardo e vedi che dopo due tornanti e tre drittoni la strada improvvisamente sparisce dentro alla montagna. Non la vedi ma sai che lì c’è la galleria che ti porta in Austria, la galleria che segna la fine delle fatiche, anche se alla cima mancano ancora due chilometri, ma quasi tutti piani.

Arrivare a quella galleria è emozione grandissima, ti rendi conto di quello che hai fatto e le forze si rianimano pronte a guidarti in discesa. Ma l’Otzaler è speciale anche per le sorprese che sa regalarti quando ormai pensi di avercela fatta. La discesa non è continua, dopo qualche chilometro di picchiata, all’improvviso, una rampa in salita di un chilometro e mezzo al dieci per cento ti si para davanti come uno scherzo cattivo in una festa di laurea.

Ma la festa è già iniziata. Sono gli ultimi dieci minuti di sofferenza poi la discesa apre le feste e l’ultimo zampellotto a due chilometri dall’arrivo è pedalato con la forza dell’emozione. Esultare per quell’ultimo tratto di salita è naturale, come naturale è esultare all’arrivo, dove la festa che il pubblico e l’organizzazione ti riservano e riservono a tutti coloro che arrivano, è un’emozione che rimarrà per sempre.

Sentirsi eroe, è la grande forza dell’Otzaler, perché finirla, sportivamente ti fa sentire eroe vero.        

E un po' mi sono sentito eroe, sicuramente un’impresa che mai avrei pensato di fare. L’ho tenuta sempre lontana, per il periodo in cui si svolge e anche per la durezza. Poi quest’anno la decisione di farla, con mille dubbi, mille paure. Impossibile porsi un obbiettivo di tempo, volevo solo finirla anche se inconsapevolmente rimanere sotto le dieci ore sapevo me l’avrebbe fatta sentire ancora più Impresa.

Nove ore e tre quarti, la gioia è doppia e festeggiarla con sei birre, due panini allo speck, un piatto di pasta, uno di patate e salsiccia e una pizza, è il minimo.

Si arriva fino all’una di notte, scorre più birra che acqua nel fiume, che non è poca, poi si va a letto, con ancora l’adrenalina che la fa da padrone.

Ma adesso è veramente finita, è finita almeno fino alla prossima impresa.

11 agosto 2017

Appennino Bagnato

Nuvoloni bianchi e altri più grigi correvano alti nel cielo sopra Lizzano ,mentre i ragazzi scaricavano le bici dalle auto appena arrivati da Casalecchio. Le previsioni non erano preoccupanti anche se qualche meteo pessimista lo si poteva trovare.

Salendo verso Pracchia a buon ritmo nuvoloni più neri ci circondavano ed il cielo azzurro cominciava a restringersi. L’afa però la faceva da Padrona, nonostante il sole scaldasse solo a sprazzi, il calore che saliva dall’asfalto lasciava senza fiato e bagnava di sudore le nostre divise.
Eravamo in cinque e per la prima volta nella storia del Club Malini avevamo tutti le stesse divise.

A San Marcello Pistoiese riempivamo le borracce. Neanche quaranta chilometri ma la borraccia era già vuota. Guardavamo i monti verso Prunetta, nostra prima destinazione e qualche dubbio sul fatto che forse potevamo prendere l’antipioggia, ci assale. L’unico che per scrupolo o forse per età che l’aveva preso è Steve, che poco dopo aver imboccato l’incrocio per Montecatini, Piteglio e Prunetta, lo indossava grazie alla sosta obbligata da gocce grandi come chicchi di grandine che allagavano tutto.

Pochi minuti fermi e passato il temporale ripartivamo. Ramon ispirato dalla salita e dalla partenza di un settore di Strava partiva con furore, tirando dritto all’incrocio per Piteglio che gli avevo segnalato all’inizio della salita.

Lo chiamiamo, lo aspettiamo e scendiamo verso il pittoresco paese Toscano. Qualche chilometro di discesa avvertivano che poi si sarebbe saliti parecchio. Solo noi per strada salendo verso Casa Monte , parlando e accelerando solo gli ultimi chilometri con Tognetti e finalmente Ramon scatenati.

Tutti insieme salivamo a Macchia Antonini splendido bosco dove incontravamo di nuovo essere umani  dopo svariati chilometri di assoluta solitudine. Prunetta è trafficata nonostante il cielo plumbeo, dopo una sosta veloce per acqua e selfone di gruppo ripartivamo in discesa , costeggiando il Reno appena nato e fermandoci a Le Piastre dove le nostre strade si sarebbero separate.

Lorenz, Gianluca e Ramon scendevamo a Pistoia per risalire poi dal Signorino mentre io e Steve scendevamo verso Pracchia cominciando a tornare indietro. Il cielo dalla parte dell’Orsigna era nero come pece ma su di noi scendevano solo poche gocce e il fastidio più grande che davano era quello di bagnare la strada.

Nonostante la strada bagnata scendevamo veloce verso Ponte della Venturina da dove si vedevano fulmini potenti scaricarsi verso Silla. Il tempo di arrivarci e fortunatamente il temporale era già andato verso la città, mentre dalla strada scendevamo fiumi di acqua schiumosa.

Salendo verso Gaggio il cielo si era aperto e un blu azzurro intenso dominava sopra le nostre teste. Il sole scaldava l’asfalto rendendo la salita una sauna che con grande fortuna di spegneva a Gabba, quando tre minuti di acquazzone mi bagnavano, per la prima volta in questo 2017, mentre ero intento a spingere quasi a tutta per evitare il temporale che montava dal Corno.

Ma il temporale scendeva e evitava la mia strada. A Querciola mi giravo verso Silla e la paura mi assalì. Si vedeva solo nero, nero e fulmini che squarciavano il nero.

Pensavo ai ragazzi a cosa stavano incontrando a salire dalla Porrettana e pensavo a me, che quel giro lo avevo proposto, e che per impegni familiari non avevo potuto completare.

I ragazzi avrebbero preso un battello d’acqua e la salita da Pistoia al Signorino se la sarebbero ricordati per un po'. Io tranquillizzato dal fatto che tutti stavano bene, cominciavo già ad immaginare il giro di Sabato.

La Porrettana da Pistoia, asciutta. Speriamo…