03 luglio 2020

Cosa è una gravel? Wilier Jena

“Per essere bravi venditori occorre comprendere pienamente la tipologia di cliente che abbiamo davanti.”

Paolo è un bravo venditore. Mi conosce bene e sa dove mi piace pedalare, che giri faccio, che percorsi mi invento. 

Non mi fa entrare neanche in negozio, arriva fuori e mi dice:

“La Mtb non è ancora pronta, intanto tieni Questa, provala quanto vuoi, poi mi dirai come ti trovi, se magari ti ci innamori parliamo del prezzo.”
Questa, è la Wilier Jena, gravel in carbonio equipaggiata Shimano gxr monocorona, con sella di Selle Italia reggisella e manubrio Ritchey e ruote Shimano.

Paolo ha visto i giri che ho fatto negli ultimi tempi, sa molto bene quello che ho fatto in passato, sa che mi piace ogni genere di bicicletta, che mi piace girare soprattutto in bici da corsa ma che apprezzo molto i bei giri in Mtb, l’esplorare, il contatto con la natura, consapevole del fatto che in Mtb sono negato.

La gravel potrebbe essere la bici perfetta per me.

Ma cose è una gravel?
È una domanda che si fanno in molti e che molti mi avevano fatto. 

È una bici da ciclocross? Non proprio. 

È una Mtb prestata all’asfalto? Assolutamente no. 

È una bici da corsa adatta anche allo sterrato? Riduttiva. 

La gravel è La Bicicletta. 
Come la si intendeva quando all’inizio del secolo scorso, e fino al dopoguerra, fu desiderio e libertà per ogni italiano che la possedeva. 

È La Bicicletta che ti porta su ogni terreno che desideri attraversare, senza starti a preoccupare di graffi, bozze, bucature, saltelli, scomodità, sconnessioni varie ed eventuali. 
È la bicicletta che fin da bambini abbiamo guidato con l’incoscienza e la fantasia di una vita ancora da costruire, progettata e strutturata con tutte le tecnologie e i pensieri del nuovo millennio. 

È una signora bicicletta. È la signora delle Biciclette. 
La matrona, non una regina, non una principessa, ma una vera nobile che sa essere anche contadina. 

L’ho provata su ogni terreno. 

L’ho fatta scivolare veloce sulla strada verso il lavoro al mattino presto, sull’asfalto a tratti sconnesso, a tratti liscio della Bazzanese e ha dimostrato di non aver niente da invidiare rispetto ad una bici da corsa. Forse sarà stato il mio entusiasmo, ma non mi ha fatto certo perdere tempo rispetto alla mia specialissima, nonostante i copertoni da 38 con cui era accessoriata. 

Per cominciare a sterrarla un po’ ho scelto subito il fango del mattino dopo una notte di tempesta, il fango della strada che da Zappolino scende a Monteveglio. Terra che la rivestiva completamente ma che non la rallentava, con una manovrabilità ottima anche nello “sciare” a destra e sinistra, nel fango al posto della neve. 

Mi sono subito accorto di quanto le leve Shimano possano essere preziose e comode. Appoggiarsi ad esse è come stare sul divano di casa, ed è importante per una bicicletta che assomiglia ad una da strada, ma con cui ti butti giù per grotti, e che di istinto ti farebbe mettere le mani centro. Con quelle leve la posizione da strada, comodo, appoggiato leggero al centro del manubrio, non serve proprio. 
Lungo il percorso Samoggia, da Bazzano a Calcara, l’ho ripulita sull’erba del lungo fiume e nonostante la scivolosità del manto erboso la Jena è risultante scattante e soprattutto stabile all’uscita da ogni curva. Stesso discorso per il percorso vita di Zola Predosa, dove alcuni tratti richiedono attenzione per il ghiaino abbondante, la manovrabilità e la stabilità di questa Wilier è stata eccezionale. 

Anche sugli sterrati in salita la Jena si è dimostrata molto scorrevole, attraversava i rivoli lasciati dai temporali di inizio estate con solidità e ogni tanto mi permetteva anche di alzarmi sui pedali come fossi su asfalto. Che fosse la terra pastosa di Villa Stagni, o lo sterrato sassoso di SanLorenzo. 
Non ho riscontrato difficoltà nemmeno sul ghiaino più infido, dove le pendenze superano la doppia cifra la Wilier non “sguilla” mai, non facendoti perdere neanche una pedalata. 

Tra un pomeriggio dopolavoro e una sabato mattina all’alba la provo come Mtb su percorsi dove avere un ammortizzatore sarebbe più comodo.

Nel lungo Samoggia tra Fagnano e Ponzano, a ruota di due Bikers dalle discrete doti di guida, le mie difficoltà si palesano in modo evidente. Eppure riesco a non mettere mai il piede a terra e a saltare radici e piccoli scalini perdendo terreno rispetto ai Bikers, ma recuperando con aggressività nei tratti dritti tra l’argilla del fiume e l’erba secca dei campi. 

Più difficoltosa da tenere quando la strada si fa sassosa. 
Via delle Gardelline a Savigno è una salita storica della Valsamoggia, sale da prima dell’ultimo ponte del Samoggia e ha tre vie. Scelgo lo sterrato verso via del Piantè, proseguendo dritto verso Merlano. La salita è tutta sterrata, ha tratti pedalabili, altri che richiedono più spinta. La monocorona comunque basta e riesco a salire agile e concentrato evitato i tratti più ghiaiosi. Non conosco la salita, è la prima volta che la percorro sperando che continui così fino in cima. 
Ma ad un cancello di una villa capisco che non è così, la strada si stringe e si fa fiume, la ghiaia viene sostituita da sassi grandi e ammassati uno sull’altro. Riesco a salire per qualche centinaia di metri pedalando, lo sforzo è totale, una carriola ribaltata al secondo tornante del fiume mi fa pensare che non potrò pedalare ancora a lungo. La mia condizione psico-atletica non mi consente di rimanere lucido in sella, così in tre casi sono costretto a scendere e spingere a mano. Sicuramente aver avuto un’altra corona davanti mi avrebbe aiutato, così come mi sarebbe servita per la bella salita del cinghiale, una cavedagna in ghiaia che taglia il bosco in verticale tra Gavignano e Monte Pastore con muri al venti per cento di diverse centinaia di metri, anche se penso che l’unica cosa che mi sarebbe servita veramente sarebbe stata saper guidare in quelle condizioni, condizioni magari più decenti a livello atletico.
Sicuramente se vogliamo trovare un difetto la mancanza di un rampichino può pesare, come può pesare il mono attacco del pedale. A mio avviso su sterrato avere il doppio attacco è sempre fondamentale. 
Ma sono dettagli, alla fine ognuno può rifinirla come meglio crede. 

Su asfalto la monocorona risponde bene alle esigenze di equilibrio, anche sulle pendenze lunghe e difficili dello strappo che da Rasiglio portano alla Borra e successivamente a Medalana. Tutto invita a mettere il piede a terra, ma la monocorona piccola davanti e la corona grande dietro, riescono ad evitare l’umiliante fermata. 

C’è chi dice che la mono corona sarà il futuro anche su strada. Per il momento dubito fortemente. Nelle discese pedalabili tipo Zappolino, o nei falsopiani dove spingere forte, e a lungo, la monocorona è troppo limitante, aumentando lo sforzo dell’atleta e riducendo non di poco la prestazione. 

La Wilier Jena se la cava bene in discesa sterrata quando faccio la via gemella di via delle Gardelline, via della Predosa. 
La prendo allegro poi poco prima che la strada si butti nei campi mi viene in mente che Zola Predosa vuol dire Zona Pietrosa. Via della Predosa vorrà dire via Della Pietra. Ed è così, la strada è ben segnata, non è un fiume come Le Gardelline, ma non è neanche comoda come la successiva via Del Piantè che agevolmente mi riporta nel tratto semplice di via delle  Gardelline. 
La Jena è scesa bene, i copertoni da 38 hanno aiutato molto e lei si è dimostrata confortevole anche in situazioni dove il più grande comfort sarebbe fermarsi e sdraiarsi all’ombra di un balcone di fieno. 
Riporto la Jena da Paolo e riprendo la mia specialissima, Paolo mi chiede se mi sono innamorato, usa parole grandi e importanti. 

L’amore però a volte ha bisogno di tempo, anche un colpo di fulmine a volte non ha effetti immediati. Ti trapassa il cervello ed è talmente veloce che neanche te ne accorgi. Eppure lascia una cicatrice che con il tempo raggiunge il cuore e una volta raggiunto non lo lascia più. 

Per il momento la Wilier Jena non entra nel mio garage, ma è già chiusa in bella vista nel cassetto dei miei desideri.