Il protagonista di questa storia aveva appeso la racchetta al chiodo nel 1996 a seguito di un'operazione al menisco e su consiglio del medico che aveva diagnosticato una brutta artrosi all'arto.
Il chiodo venne piantato e la racchetta appesa dopo 21 stagioni di onorata carriera, culminata con un paio di tornei vinti (uno in singolare ed uno in doppio) e tanti complimenti per il bel gioco profuso nel corso degli anni.
Dopo 6 anni quindi, di assoluto digiuno dai campi in terra rossa, un venerdì sera arrivò al nostro protagonista una telefonata da un vecchio amico che lo invitava a recarsi il giorno dopo al circolo tennis aeroporto, perchè sarebbe stato presente nell'occasione il suo grande ed indimenticato idolo dei primi anni di gioco, quell'Adriano Panatta vincitore nel 1976 dei prestigiosi tornei di Roma e Parigi ed alfiere principe nella conquista dell'unica Coppa Davis vinta dall'Italia a Santiago del Cile, sempre nello stesso anno.
Al nostro protagonista venne riferito durante la telefonata, che il grande giocatore romano avrebbe incrociato la propria racchetta, con chi ne avesse avuto voglia e soprattutto coraggio, per alcune esibizioni.
Al diavolo l'artrosi ed il medico, pensò il nostro protagonista, per Adriano val la pena soffrire un pò di dolore!!
La mattina seguente, il nostro amico si presentò dove gli avevano detto, ma purtroppo il campione non era presente, ed al suo posto c'erano tre ragazzotti, ormai anche loro a carriera conclusa che invitarono il "nostro" ad entrare in campo e a giocare un set di esibizione.
Durante il palleggio di riscaldamento, si radunarono a bordo campo diverse persone che incuriosite da quelle tre facce note, volevano capire cosa stesse succedendo.
I tre partecipanti al doppio di esibizione, erano: Claudio Mezzadri, ex nazionale Svizzero e miglior giocatore elvetico prima dell'avvento di un certo Roger Federer, che si schierava in campo insieme ad un bolognese dotato di un dritto fantastico che raggiunse il 18° posto nel ranking mondiale e che tenne testa a Boris Becker durante un epico incontro agli Australian Open in cui il tedesco ebbe la meglio solo al quinto set per 14-12, dopo una maratona di tennis fantastico. Il suo nome era Omar Camporese.
Il terzo ragazzotto che fece compagnia al nostro amico era un "certo" Paolo Canè, anch'egli bolognese, un signorino che nonostante il caratteraccio, aveva raggiunto in carriera il 26° posto in classifica mondiale battendo giocatori del calibro di Jimmy Connors, Stefan Edberg e Mats Wilander.
Il nostro amico, un pò titubante ai primi scambi per via di quelle facce che aveva sempre visto in televisione e ora si ritrovava al di la della rete, venne subito risvegliato da alcuni urlacci del compagno di squadra che lo prese da parte per alcuni istanti, rifendogli che nonostante fosse un'esibizione, non aveva alcuna voglia di perdere in quanto con gli amici aveva scommesso la pizza della serata e perciò doveva darsi da fare per quanto ne fosse capace.
Risultato finale, 7-5 a favore della coppia composta da Canè e dal nostro amico.
Durante l'esibizione, il pubblico presente, che andava aumentando di minuto in minuto, ebbe a prendere in grande simpatia "l'intruso" anche perchè lo stesso, si esibì in alcuni colpi davvero di gran pregio a sentire il compagno, e soprattutto per i nomacci che sentiva arrivare dall'altra parte del campo.
Fu partita vera, ed il ricordo corre ad un'ovazione del pubblico per una volèe vincente del nostro amico, realizzata in tuffo, specialità di casa Panatta, nella foto, (prima dell'avvento di Becker), ed un'altra esibendo una veronica (per i non addetti si tratta di uno smash di rovescio, colpo difficile perchè non si vede la palla prima di colpirla) , per ricordare
l'Adriano assente (Panatta fu il grande specialista anche di questo colpo, anzi a dire il vero, il maestro n.d.r).
Alla conclusione, i due avversari si dissero piuttosto meravigliati della prestazione di questo sconosciuto che lasciò il campo fra i sorrisi dei presenti che non pensavano certo potesse reggere il campo dinnanzi a simili racchette.
E questo è il racconto di una mattina di gloria.
Sono passati quasi otto anni da quel sabato, ma il nostro amico, non ha dimenticato quel set, ed ogni tanto, quando torna nella sua cameretta di ragazzo, osserva con un pò di tristezza ed emozione la sua vecchia racchetta, che quella mattina era rinata fra le sue mani, abbandonando per poche ore quel chiodo su cui era stata appesa a far bella mostra di un passato di tante palline colpite, a volte con forza, a volte solo dolcemente accarrezzate.
Dimenticavo.....il nostro protagonista, anche all'epoca, gli amici, lo chiamavano Sandrino!!
Salutoni
Sandrino