29 marzo 2017

Granfondo Citta de La Spezia, poteva andare meglio?

Granfondo Citta de La Spezia, trasferta comoda, la partenza è alle 10, possiamo partire da casa alla Domenica mattina senza fare una faticosa levataccia.
Ritrovo alle 6 da Lorenzo, che poi non sono le 6 ma le 5, cioè l’orologio segna le 6, ma in realtà sono le 5.

È il weekend del cambio di ora, da solare a legale, quindi si e dormito un’ora in meno. Quindi in realtà non mi sono svegliato alle 5:15 ma alle 4:15. Quindi il discorso fatto in apertura sulle trasferta comoda possiamo collocarlo benissimo tra i viali, via Stalingrado, la Via Emilia e via Rigosa, insieme al luogo comune che dice che l’ora legale è l’unica cosa di legale rimasta in Italia. A noi ci ha fregato.

Lorenzo è puntuale, saluta, carica bici e borsa, lamenta qualcosa sul faticoso sabato lavorativo e sale in macchina. Solo a quel punto mi accorgo che il suo non era parlare, ma russare. Stava ancora dormendo.
Carichiamo Guido a Casalecchio aspettandolo cinque minuti nel parcheggio davanti casa sua. Era nascosto dietro una siepe, sentiva parlare, eravamo io e Lorenz ma lui aveva paura fosse qualche malintenzionato pronto a fregargli la bici. Va bene che si è trasferito in un’altra squadra, però la bici non gli e la ruberemmo mai. Forse.

Arriviamo a La Spezia in poco più di due ore, con anche una sosta caffè in un autogrill deserto, a parte la presenza di un pullman di cinquanta persone che si avventano al bar poco prima di noi.
Trovare parcheggio a La Spezia non è mai facile, sul lungomare non c’è più un posto, lascio i ragazzi davanti al ritiro pacchi gara e mi vado a parcheggiare temporaneamente in divieto di sosta. Giusto il tempo di scendere andare incontro ai ragazzi e sentire le prime gocce cadere sulla testa. Ci catapultiamo in macchina mentre comincia a diluviare. Le strade si stavano asciugando dalla pioggia notturna, ma ora sono allagate. Troviamo parcheggio a un chilometro dalla partenza, proprio mentre smette. L’aria si è fatta fredda ma decidiamo di fidarci delle previsioni. Dicono sole e alla fine sole sarà.

Il Sole arriva appena entriamo in griglia, a meno di 20 minuti dalla partenza. È spesso oscurato da gonfie nuvole bianche ma quando si libera sprigiona calore che profuma di primavera.
La partenza è incredibilmente tranquilla. Il gruppo si allunga per i viali de La Spezia a velocità elevata ma senza frenesia. La prima salita che arriva dopo tre chilometri fa risparmiare energie a parecchi. È lunga sette chilometri io e Lorenz la facciamo insieme, senza farci prendere la gamba da chi ci supera con foga, come Guido, che è in cerca del suo capitano del BikeStudio, (non lo raggiungerà mai). La finiamo senza grossi patemi e senza perdere troppe posizioni.

La strada bagnata suggerisce prudenza e in discesa il gruppo rimane allungato come alla fine della salita.
Finisce la discesa e inizia la salita. Il Passo del Termine, che porta dall’entroterra spezzino alla statale delle Cinque Terre a strapiombo sul mare. Il falsopiano iniziale inganna molti, che freschi ancora dei pochi chilometri fatti, spingono rapportoni lunghi che presto accorceranno. Sale gradualmente arrivando in cima a sfiorare la doppia cifra.

Lo spettacolo che si apre ai nostri occhi finita la salita è mozzafiato. Il mare è leggermente increspato verso la riva e forma onde spumeggianti che attirano lo sguardo. Ma la discesa è tecnica e la strada, tra tratti bagnati, altri asciutti e qualche sassolino caduto dai monti durante l’acquazzone, merita altrettanta attenzione. Lorenz è una moto in discesa, insieme a Galluzzo è sicuramente il più bravo discesista del club e sparisce dalla mia vista in poche centinaia di metri.

Entriamo a Levanto e subito ne usciamo cominciando a salire verso l’autostrada, che dal paese sembra lontanissima. Torniamo a Levanto dall’altra parte rispetto a dove eravamo arrivati, dopo 6 chilometri di salita e quasi altrettanti di discesa. Se si guarda la cartina del giro praticamente tra l’inizio della salita e la fine della discesa ci saranno cinquecento metri. Noi abbiamo fatto dieci chilometri per fare 500 metri e neanche il tempo di rilassarci che inizia la salita più lunga di giornata, il Passo Guaitarola.

Una strada larga che si inerpica sui terrazzamenti liguri costeggiando il mare. Il paesaggio è stupendo e la tentazione di fermarmi a fare due foto è forte. Resisto anche se il cellulare lo tiro fuori lo stesso e rallento. Senza mai fermarmi scatto qualche foto allo splendido mare ligure che bagna la spiaggia di Levanto. Un paio di foto anche alla strada che sale, ripongo il cellulare in tasca e riprendo a far frullare le gambe. Salgo bene lungo i dieci chilometri della salita e solo in cima un gruppettino di magrissimi “colleghi “mi sorpassa a velocità elevata. Per qualche centesimo di secondo ho la tentazione di seguirli, ma il pensiero svanisce talmente in fretta che non ricordo neanche di averlo avuto.
Scendo veloce dal Passo Guaitarola, una delle salite più belle che abbia mai fatto, tanto è vero che finita la discesa e iniziata subito la salita successiva, riprendo un terzetto che già sulle ime dolcissime rampe comincia a sfaldarsi.

L’inizio del Passo del Bracco è un patema, sale in falsopiano e nonostante riesca a far frullare bene le gambe la sensazione di essere piantato mi possiede. Come la sensazione di avere un gruppo pronto a riprendermi. Infatti mi volto e capisco che non era solo una sensazione.
Sono più di 10 unità e penso subito che mi asfalteranno.
Invece no, mi riprendono quando la strada comincia a salire veramente, pendenze sempre non troppo dure, ma mai sotto il 5%. Pedalo bene, ma soffro tremendamente l’asfalto ruvido. Il primo del gruppo mi affianca per un chilometro, supera qualche centimetro la mia ruota e poi si mette dietro. Non mi volto più ma capisco che il ritmo che sto imprimendo fa soffrire molti. Primaparlavano, ora molto meno.

Non parlano più a un chilometro dalla vetta quando metto il 53 e comincio a tirare a tutta. Davanti a me vedo una sagoma conosciuta, potrebbe essere Lorenz, mi sembra strano ma proprio al Passo lo raggiungo e gli dico di mettersi a ruota.

Non sono un discesista, ma la discesa del Passo del Bracco è uno spettacolo e raramente tocco i freni. Li tocco quando sorpasso un camper, mi volto e aspetto il resto del plotone in fila indiana a subire il mio forcing.
Finisce la discesa e inizia un’altra salita. Meno di un chilometro ma il gruppo esplode. Io e un altro ragazzo dettiamo il ritmo, Lorenz che soffre i crampi in una giornata storta, non molla e mi rimane a ruota. In discesa ci contiamo, siamo in 6.

Qui inizia forse la parte più dura della Granfondo. Non è salita, sono venti chilometri divisi in due, dieci di falsopiano in discesa e dieci in leggera salita. È raro vederlo ad una granfondo ma tutti e sei collaboriamo tirando brevi tratti secondo le proprie possibilità.
I dieci chilometri in leggera salita sono conditi da un vento contro che piano piano cuoce tutti.

Finiti inizia l’ultima salita, Viseggi. Un chilometro agile e uno e mezzo con punte al 13%. L’anno prima l’avevo presa allegra da subito, quest’anno l’esperienza la rendo utile e nel secondo troncone più duro, che domina il porto militare della città Spezzina, piazzo un paio di scatti che fanno male un po' a tutti, anche alle mie gambe.

Lorenz è un ciclista vero, borbotta ma rimane lì, perde qualche metro ma appena la strada scende li recupera e si invola negli ultimi km di discesa che conducono all’arrivo.
Io mollo, ho dato tutto e sono più che soddisfatto, la Granfondo si è rivelata più dura del previsto ma la bellezza dei posti attraversati compensa una fatica che ancora al martedì è da recuperare.

Eravamo arrivati con la pioggia a La Spezia ce ne andiamo con la stessa pioggia. Un acquazzone che ci annaffia giusto giusto mentre andiamo alle macchine dal pasta Party. Il tempo di arrivare in macchina e metterci al caldo che si aprono le cataratte dal cielo.

Arrivati con la pioggia, durante la Granfondo neanche una goccia, andiamo via con la pioggia.

Poteva andare meglio?            

19 marzo 2017

Granfondo Diavolo in Versilia. Torneremo.

La partenza anticipata di un'ora a 4 giorni dalla Granfondo.
La corsa a prenotare tre posti letto per evitare una levataccia la Domenica mattina.
La scoperta di un bel appartamento nascosto dalla movida versiliana.
L'assenza del sole ma la presenza di un tepore non previsto.
Scene da Italioti con lo sfondamento della griglia da parte di deficenti che non sapevano aspettare e il trattamento riservato al povero volontario dell'associazione Nazionale Carabinieri.
Gli U2 a scandire la partenza e le mi gambe che gasate portano Lorenzo nel secondo gruppo dopo 10 km ai 50 orari.
La gamba che gira bene anche in salita, molto bene.
Discese che non le sento mie e quindi freni tirati.
Freni tirati solo in discesa con trenate infinite e la catena che non si sente nella poca pianura e nella tanta salita di un percorso molto bello.
L'infarto di un cicloturista poco prima dell'arrivo dei primi su quel tratto di strada.
L'arrivo dell'Elicottero per soccorrerlo.
Lo sospensione della Granfondo e il raggruppamento dei granfondisti.
La morte del povero cicloturista.
L'annullamento della Granfondo.
La scelta dell'organizzazione di non fare andare sul percorso lungo e mandare tutti a casa per il medio.
Il casino all'arrivo.
Il delirio al Pasta Party.
Il nostro Pasta Party improvvisato in Spiaggia con una schiacciata con Salsiccia, rigorosamente cruda e una birra.
Il mare, sempre bello.

Si insomma ho vissuto Granfondo migliori ma quando c'è la bici e ci sono gli amici, ci si diverte sempre.

15 marzo 2017

Esageration in Appennino

La Cà: 11/03/2017
Ore: 8
Temperatura: 1°
Sole: già alto nel cielo.
Nuvole: non pervenute.
Obbiettivo primario: essere alle 9 e mezza a Marano sul Panaro
Km all'obbiettivo: 55.
Mal di gambe: appena sceso dal letto.
Pronti partenza via!

Poche centinaia di metri mi bastano per capire che sarà una giornata di sofferenza per le mie gambe. La voglia di pedalare è tanta ma loro sarebbero state a letto ancora un po'. Due, tre, forse anche quattro orette. Invece niente, le porto a pedalare sull’Appennino tra Bologna e Modena.
Devo scendere e in fretta. Voglio trovarmi con gli amici del Club Malini e quelli della palestra in San Donato, il Bike Studio, alle 9:30 all’inizio della salita che porta da Marano sul Panaro a Ospitaletto e poi a San Dalmazio.

Ho 55 km davanti a me, chilometri che possono sembrare tutti di discesa, ma che tutti di discesa non sono. L’aria pizzica e non poco ma in cielo non si vede neanche una nuvola. Un azzurro così non lo si vedeva neanche a Berlino nel 2006, quando l’Italia ha vinto i Mondiali.
Scendo veloce ma attento, la strada è asciutta e mi sono vestito bene da non sentire il grado che il Garmin segnala.

Dalla Masera a Fanano qualche curva all’ombra merita particolare attenzione per la sua ingannevole lucidità, attenzione che è difficile tenere per il paesaggio che mi circonda. Dietro di me, prima con la coda dell’occhio e poi voltandomi, vedo La Nuda di bianco vestita dalle nevicate che in settimana, inaspettatamente, sono cadute su queste montagne.

Più le mie ruote scorrono verso valle più la vista si apre alle meraviglia che queste montagne hanno disegnato. La Nuda, il Cupolino e lo Spigolino a sud, mentre davanti ame, da Rocca Corneta con la rocca più bella che mai, si staglia il Cimone con la sua maestosità ingannevole. Un inganno che lo fa apparire il più grande di tutti. Che poi il più grande di tutti lo è, ma per questione di pochi metri, non come la vista può fare apparire.

Arrivo in fondovalle e mi butto in discesa, la poca salita prima della rotonda di Fanano mi rimane sempre indigesta, che sia fatta da un versante o dall’altro, ma a colazione proprio non va giù.
Mi butto comunque in discesa, guardo il Garmin, faccio due conti e capisco che poi, infondo, non è impossibile arrivare a Marano per le 9:30.
Cerco di non tirarci troppo anche se quando guardo il cardio capisco che, in realtà, sto forzando più del dovuto. Ci sarebbe da tornare anche indietro prima o poi, ma per il momento non ci penso.
Unico pensiero è raggiungere i ragazzi.

Quel pensiero non mi ha fatto fermare neanche una volta per scattare una foto, foto che però rimarranno sempre impresse nella mia mente. Sono quelle più belle, e sono quelle che non potrò mai rifare.
Arrivo a Marano alle 9:37, in precedenza avevo avvertito i ragazzi di salire che avrei comunque provato a raggiungerli. E così faccio. Comincio la salita da solo, dopo 55 chilometri solitari alla media dei 33,6 km/h, all’inseguimento di amici che non so se riprenderò.

I primi tornanti mi parlano chiaro, la gamba c’è, ma non ne ha mezza voglia, io ci sono, ma se stavo a letto era meglio, la giornata c’è ed è uno spettacolo.
Solo, pedalo e guardo se davanti a me spunta qualche riferimento. Non vedo nessuno, tranne un paesaggio che mi fa capire che poi a letto ho fatto bene a non starci.
Scatto una foto e continuo a pedalare.
Li riprenderò?      

Li riprendo. Poco prima di Ospitaletto vedo in lontananza un ciclista. Mi sembra di conoscerlo, la fisionomia è familiare, ma non riesco a capire chi sia. Continuo a salire del mio passo e subito dopo il paese lo raggiungo.
È il grande Denis, mai domo che pedala sulla sua Bianchi. È l’ultimo della fila, poco più avanti tutti gli altri.

Ci raggruppiamo a San Dalmazio, poi veloci in discesa da Riccò fin giù sull’Estense, che attraversiamo immediatamente, per ricominciare subito a salire verso Serramazzoni. Salita tanto bella, quanto dura, quella di Pazzano e le mie gambe, che sembrano avere il limitatore inserito, soffrono non poco, mentre i ragazzi, guidati dal maestro Loris, sono indemoniati.
A Serramazzoni ci fermiamo giusto il tempo di aspettare l’ultimo e poi di nuovo discesa verso San Dalmazio e da qui, lungo il Malandrone, verso Coscogno.

Si scende e si sale, manca ancora tanto per tornare a casa, manca soprattutto ancora tanta salita, e ahimè, invece, non mancheranno le sorprese.

Una di queste sorprese, in particolare, mi coglie veramente impreparato. Dopo aver lasciato tirare il collo a tutti da parte di Ale e Lorenz lungo il fondovalle, Loris li ferma al primo tornante della salita che porta a Samone. “Andiamo di qua”, indicando la stradina asfaltata che taglia il tornante e comincia a salire lungo i  campi. Non l’avevo mai fatta e Loris subito ne approfitta: “Proprio a te Paso devo insegnare strade nuove, di solito sei tu che insegni a noi. Ma tranquillo sale a gradoni, c’è solo un paio di chilometri che tirano cattivi.”

Cattivi è sempre un aggettivo molto soggettivo ma partiamo e come dall’inizio del giro mi metto del mio passo, ne forte ne lento e lascio andare gli indemoniati. La strada prosegue veramente a gradoni, sale e scende in continuazione e appena ho un attimo di riposo ne approfitto e smetto di pedalare. Andrea in quei momenti mi riprende, facendomi notare la bellezza di questa salita. Immersa nel verde assoluto, il panorama che si pone davanti a noi è fantastico. Il Panaro a valle e il Cimone che tocca il cielo dipingono un quadro che non potevo non immortalare.

E mentre scatto questa foto in un tratto dalla pendenza a doppia cifra mi chiedo: “Sarà questo il pezzo durò?”  

Neanche il tempo di farsi la domanda che arriva la risposta.

Il muro finisce, lasciando spazio a qualche metro di discesa, poco riposo che precede quel paio di chilometri di cui parlava il maestro Loris. Una striscia d’asfalto che si inerpica nel bosco come un serpente attorcigliato e che prosegue, poi dritta, tra campi verdi che fanno un fantastico contrasto con il blu acceso del cielo.
All’inizio del bosco due anziani riposano prima di riprendere la potatura di alcuni Castagni. Li affianco e mentre pedalo con molta fatica gli chiedo:
“Spiana prima o poi?”,
“No direi di no ragazzo.”
E a metà del drittone in mezzo ai campi comincio a pensare che i due anziani, forse, non scherzavano.
La pendenza è molto vicina al 20%, c’è silenzio nell’aria fresca che spira dall’Appennino, ma i nomi fitti che si sta prendendo il maestro si percepiscono nitidamente.

Dopo una casa la strada alleggerisce la morsa sulle gambe e riesco ad alzare lo sguardo da terra, mi volto verso il basso e vedo gli altri ragazzi salire lentamente e faticosamente in fila indiana. Poche centinaia di metri ci separano, metri che sono minuti.
Non bisognerebbe mai mettere il piede a terra, ma dopo 100 chilometri e solo un paio di foto scattate, questa non posso mancarla.

Mi fermo e scatto e riprendo la pedalata.

Una curva e finalmente la strada spiana. Loris ci aspetta, con le orecchie che fischiano, all’incrocio per Zocca. Metà gruppo torna verso la bassa, l’altra metà segue Loris.
“E ora Montalto!”
Le orecchie continueranno a fischiargli.       

Scaliamo anche Montalto, gli indemoniati si calmano un poco e riesco a tenere le loro ruote. Forse la sosta per riempire le borracce alla fontana del Rifugio Di Vino, che la signora ci ha gentilmente permesso di usare, mi ha rigenerato. O forse gli indemoniati sono stati per una volta gentili. Sicuramente mentre riempivo la borraccia e guardavo il bellissimo casolare in sasso che fa da ristorante ed Albergo, qualche tentennamento se proseguire o no l’ho avuto. Dopo 120 chilometri e più di 2000 metri di dislivello se chiamavo mia moglie e gli dicevo che gli offrivo il pranzo forse non facevo male e sicuramente lei avrebbe gradito.

Ma naturalmente proseguo con i ragazzi, al bivio aspetto Ramon che invece continua ad accusare le alte andature e in cima sulla statale del Passo Brasa i ragazzi si offrono gentilmente di accompagnarmi fino in cima al Passo.
Ringrazio ma, cortesemente, gli dico che possono anche non disturbarsi. Ma loro sono troppo amici e si disturbano.

Verso Bocca dei Ravari tornano ad essere indemoniati, mi stacco e rallento per salutare Ramon che gira verso Cereglio.
Mi rimetto a testa bassa e con un po' di orgoglio li riprendo proprio quando voltano per fermarsi al bar. Una Coca e una Piada riscaldata saranno la mia salvezza.
Di nuovo in sella i ragazzi arrivano veramente con me fino al Passo, li saluto e li ringrazio e finalmente rimango solo.

Io e altre tre salite per arrivare a La Cà. 
La prima quasi non è una salita, arrivare a Iola è quasi falsopiano tranne un paio di curve più pendenti. Poi arriva la discesa vera e propria del Passo Brasa verso Gaggio.

E arriva lui, nascosto tutto il giorno dal Monte Belvedere, finalmente appare davanti a me, maestoso come solo il CornoAlleScale sa essere.
Il Cimone è ingannevole, sembra molto più grande e alto di tutto quello che lo circonda ma in realtà non è così. Sì è il più alto, ma alla fine di pochi metri, appare così grande rispetto a ciò che lo circonda perché è il monte più a nord dell’Appennino. Il Corno è più a sud, e questo lo rende più lontano, più piccolo, ma in realtà, quando ti si apre alla vista, è il più maestoso che c’è.

E allora è inevitabile per me fermare la bici nonostante mi piaccia un sacco questa discesa, e scattare un paio di foto. È sempre bello ma quando è tutto bianco di fresca neve riesce a sprigionare una magia che nessun altra montagna sa dare.

Il giro è ormai in dirittura d’arrivo, attraverso Gaggio e arrivo a Querciola senza eccessivi patemi, agile e con il cuore che riesce a stare basso. O forse è costretto a stare basso dalla stanchezza che mi ha assalito già da un po'. Ma il giro non è finito. Raggiungere i 160 km non è impossibile e allora l’ideale è scendere fino a Farnè e salire a LaCà. Altri due km abbondanti vicini al 10%. Erano proprio la ciliegina sulla torta.

160 km, quasi 3000 metri di dislivello.
C’è chi va alle Canarie e chi ferma in Appennino.

Che fermo non ci rimane tanto!   

09 marzo 2017

Domenica di vento

L'inverno di un ciclista inizia due mesi prima di quello del calendario. Inizia l'ultima Domenica di Ottobre, quando torna l'ora solare. Un'ora in più di buio, che arriva presto al pomeriggio e non si può più uscire dopo lavoro.

Questo è stato un lungo inverno e deve ancora finire, non ci ha regalato neve e neanche tanta pioggia, una sola Domenica brutta in 5 mesi, ma sicuramente il freddo non l'ha fatto mancare.
Ieri mattina la primavera provava a farsi strada, ma l'aria portata da un forte vento sapeva di neve.

Mongardino alle 8 di mattino non era tranquilla come al solito, con nelle orecchie il sibilio del vento e la strada inumidita dalla pioggia del sabato. Anche dopo, quando l'abbiamo scalato da Sasso, il vento la faceva da padrone, ma a quel punto il sole cominciava a intravedersi tra le nuvole, che sempre minacciose, se ne stavano andando.
E il vento la faceva da padrone anche in discesa. Ma questa volte era gentile, una gentilezza irrequieta che ci mandava giù a spintoni, spingendo le gambe a velocità mai fatte prima. Un vento che faceva saltare anche Strava, con una media di 51 km/h arrivando a Calderino distrutti.

L’unico tratto a favore di vento ce lo sputtaniamo nel modo migliore per divertimento, nel modo peggiore in vista del proseguo del giro.

Recuperiamo l’inattesa fatica mulinando agili su per San Lorenzo, le strade cominciavano ad asciugarsi come capelli al caldo getto del phon e la discesa verso Ponte Ronca l’affrontiamo tranquilla, questa volta senza tirarci il collo come pazzi sfrenati, ammirando la pianura con in fondo, inconfondibili, i Colli Euganei.
Il vento gentile e irrequieto stava facendo pulizia.

Tra San Savino e via Puglie Lorenz, per salire a Oliveto, sceglieva vie Puglie, ricordandosi solo quando ormai era troppo tardi, dell’ultimo strappo taglia-gambe poco prima della bella borgata medioevale.
Il vento continuava a spirare forte ma il sole cominciava a fare capolino seriamente in cielo e quasi a placarlo ci concedeva un po' di riposo nell’attraversare MonteVeglio per salire a MonteBudello.

Bologna ha i portici di San Luca, Bazzano ha MonteBudello. Non vi sono portici ma è raro trovarsi soli mentre si percorre questa salita. Chi camminando, chi correndo, chi chiacchierando, chi ascoltando musica, la salita che arriva alla Chiesa tra Savignano e Bazzano, sopra le vigne della Mancina, è sempre animata.
Noi parlavamo, ma spingevamo anche, fin su al Pazz, poi giù verso Savignano sul Panaro, tra troppe buche sull’asfalto, vigne che chiamavano caldo e rivoli d’acqua che tagliavano la strada.
Aspettavamo Steve mentre pensavamo già alla prossima fatica. 

La prossima fatica arriva in fretta. Pochi chilometri di pianura e si ricominciava a salire. Stavo tirando e comincio la salita ancora tirando.
Guiglia è una salita apparentemente semplice ma proprio questa semplicità la rende assai complicata, ogni scalata è diversa dalla precedente quasi che la salita cambi pendenza in base alla giornata.

Tiravo, quando al primo tornante mi viene in mente che dovevo mangiare. Allungo la mano nella tasca e mi succhio un ciucciotto di maltodestrine. Rallento un filo e Ale mi supera, con lui anche Steve e Lorenz. Mi metto a ruota ma l’andatura è troppo elevata per me. Eppure l’abbiamo fatta molto più forte altre volte, forse però non avevamo sessanta km sulle gambe e già di 1000 metri di dislivello sulle gambe.
Riesco a rimettermi a ruota, Ale è in caccia di due ragazzi che girano affiancati chiacchierando tranquillamente. Andavamo a tutta, li vedevano già dal tornatone di Case Sereni, eppure li abbiamo ripresi poco prima dell’incrocio di Castelletto. Andavamo a tutta, loro invece chiacchieravano.

Saliamo ancora, serviva acqua e la piazza di Guiglia con la fontana e una vista che apriva da Modena fino ai Colli Euganei era la sosta perfetta.
Dovevamo salire ancora, Zocca era ancora lontana.

Salivamo ancora non smettevamo di salire.
Poco dopo Monte Orsello superavamo un ragazzo de La Rupe di Sasso Marconi, proprio nel mentre del sorpasso gli esplodeva la camera d’aria.
Avvisavamo il suo compagno che era pochi metri più avanti che ringraziava gentilmente e ci chiedeva se potevamo avvisare quelli davanti a lui, che ci chiedevano di avvisare quelli davanti ancora, che ci chiedevano di avvisare quello davanti a loro, che ci chiedeva di avvisare quello dopo la curva, che ci chiedeva di avvisare quelli più forti davanti ancora, che ormai eravamo arrivati a Pistoia.
No non è vero, ma dovevamo farla piano insieme a Steve, invece, a forza di avvisare, Rocca Malatina era stata attraversata senza accorgersene e soprattutto senza Steve.

Mentre salivano qualcosa in me si svegliava. Era lo stomaco, che reclamava qualcosa di più di una barretta e qualche maltodestrina. La Tigelleria in centro a Zocca era l’ideale. Me ne avevano parlato benissimo, i ragazzi si fermavano sempre, quando io non c’ero.

La Tigelleria era chiusa. Chiusa per ferie. Ci passiamo davanti con una lacrima agli occhi e lo stomaco ululante. Con fatica e controvoglia il braccio destro si allungava in tasca e la mano, schifata, afferrava un’altra barretta alle mandorla. Lo stomaco, pur inorridito, smise di ululare.
Lama di Zocca, Conventino e Tolè, in successione, battagliando come se a Tolè ci fosse l’arrivo di una tappa alpina del Giro. A Tole non c’era nessuno, tutti già con le gambe sotto al tavolo per il pranzo della Domenica che ha sempre qualcosa in più di un pranzo normale.

Ci aspettava solo discesa, finalmente una lunga riposante discesa. Il giro era quasi finito ma io un’altra salitella volevo metterla. Giusto per arrotondare a 150 km e 2300 di dislivello.

Poggio Respighi, o il Monticino, semplicemente via Predosa, sognando di farla a tutta, catapultato nella realtà invece salivo con il 39×27 agile agile, ammirando le vigne di Pignoletto nascere al sole e desiderando un bicchiere ghiacciato del loro frutto agitarmi il corpo, concludevo il giro così.

Magari se avessi mangiato quella tigella a Zocca avrei fatto a che San Martino…

06 marzo 2017

8 Marzo...strada alle Donne!


Valeria, una donna
 AvventuRosa



Neve.... 
la settimana è cominciata sul White Trail.... ghiaccio, salite, neve ...  intorno a noi un panorama bianco di vette stagliate contro il blu del cielo... bianco, morbido agli occhi ma, duro sotto i quadricipiti che, dal niente quotidiano dell'ufficio si ritrovano a pedalare muovendo i gommoni della mia gialla Chewbecca. 
Cosi... quasi in fila indiana (dico quasi perché a causa del ghiaccio io ero sempre l'impedita per terra!) prima ci dirigiamo verso il cielo e poi giù, accontentandomi del giro breve, in discesa, scivolando, con il dietro della bici che scoda birichino... ridiamo come due bambini che vedono la neve per la prima volta... 
e, dalla bici, è proprio la prima volta. 
Questa settimana giochiamo con le nostre fat. Lo faremo sul percorso  del South Tyrol Trail interrotto questa  estate a causa di una infiammazione al gomito che mi ha portato a cazzeggiare per un paio di giorni in piscina ( butta via!!) per poi proseguire le vacanze seguendo solo la ciclabile... giusto per non affaticare il braccio che non ne voleva più di muoversi.
Il trail lo riprendiamo li, dal punto dove, al riparo della nostra tendina, abbiamo dormito l'ultima sera di South Tyrol Trail, circondati da un nugolo di zanzare incarognite, che per tutta la notte han fatto la guardia, forchetta e coltello alla mano, intorno alla tenda aspettando di saltarci addosso; siamo nel bosco sulla strada per Monticolo. 
Mentre ripenso al giro fatto, faccio fatica a scegliere di raccontare i paesaggi, la zona è meravigliosa, sono montagne indimenticabili, la prima parte di giro, credetemi, non si può raccontare... bisogna viverla, sono montagne che entrano nel cuore con prepotente bellezza.... ed io non credo di avere la capacità di dipingerle con le parole.
Disordinatamente proverò a descrivere alcune parole, legate ai luoghi dove le ho sperimentate....
Cominciamo con ..
EQUILIBRIO: siamo sul fianco delle montagna in direzione Glorenza, qui i rumori del mondo non arrivano. Da quassù il frenetico affaccendarsi umano  diventa agli occhi come un piccolissimo formicaio impazzito, quasi non riesco a credere di provenire da lì.
Sentieri ondeggianti nel bosco: pedalo sulla salita, mollo i freni, sposto il peso per la curva....Azz piede a terra. Ricomincio. Di nuovo salita, cambio il rapporto.... Marco saltella lì davanti sulle radici come se niente fosse, provo ad imitarlo.
 
Cerco il controllo delle emozioni che passeggiano tra la vertigine e la paura, che non mi lascia mai, la curiosità per quel che ho attorno, la pace che, dal verde del bosco, entra dentro i pensieri....
L'equilibrio che cerco fuori, con le mani salde al manubrio di Chewbecca, piano piano si espande dentro e si fa...
SILENZIO: il compagno di "concentrazione".
È quel manto che scende sui pensieri, mentre pedalo, il ritmo cadenzato delle gambe, il mormorio della campagna che mi circonda.
Silenzioso è il ripetersi ordinato a perdita d'occhio delle vigne di Magrè sulla Strada del vino, o l'azzurro riflesso delle montagne nelle acque del lago Caldaro.....


 il saltellare delle foglie sotto la ruota, o lo sguardo curioso di un passero che fa capolino dietro un ramo. Il silenzio è la migliore musica che accompagna il respiro: è il " qui e adesso " di cui ci si nutre durante il viaggio, quando altro non serve oltre a quel che è caricato sulla bici. Ed è il silenzio che alimenta la  ...
FORZA: quella che sono sempre cosi sicura di non avere..... 
si crede a volte che sono solo i  muscoli a produrre forza sui pedali.... ma a volte il silenzio che non ti parla del "chi eri" o del " non ce la faccio" da risultati che non ti aspetti. Solo con umile e silenziosa concentrazione puoi arrivare sulla cima.... cosi lentamente salgo lo zig zag regolarissimo sopra Malles che ci porta incontro alla neve. 



Ed è  vero che ci sono gambe più forti e cuori più allenati, guarda Marco come sgambetta... ma come non essere attirati da tanta....
BELLEZZA: il motivo per cui ti porti in luoghi cosí lontani dalle tue capacità....
Intorno natura e suoni distanti .... davanti agli occhi il furtivo muoversi di uno scoiattolo (?) che di colpo si ferma a guardarmi: entrambi ci chiediamo a che razza appartiene quella bestiolina di fronte. Stupore, dolcezza e perfezione.
CONDIVISIONE: chiacchere con Marco sulla ciclabile in direzione di Merano, dove portiamo un saluto a Nonno Carb, l'autore di questa bellissima traccia. Chi disegna tracce mette se stesso nella sua opera, e così si  può vedere il suo mondo, attraverso i suoi occhi... anche questo è un modo bellissimo per condividere ciò che si ama.
Maurizio è, come queste montagne, silenzioso, preciso, ordinato e forte, ci sorride annunciando la faticaccia per salire a Rifiano.  Scopriamo  così che tutto il male non viene per nuocere.... questa estate sarebbe stato un massacro salire fin lassù con le borse da cicloturismo.... meno male che il braccio ha fatto sciopero!! 
Un occhio alla valle e giù verso Tirolo e Lagundo : condividere una birra alla Forst però è d'obbligo.....
Sulla SOLITUDINE....
non ho mai viaggiato da sola.... son già sola per tutta la settimana, almeno il we vorrei condividerlo, anche se non ho altri compagni di viaggio pazienti come Marco; ma una nota è doveroso farla: quelle rare volte che pedali senza nessuno intorno ti rendi conto che non si è mai soli quando si è soli....viaggi sempre con te stesso. Sembra banale dirlo. E così mi gusto anche quella momentanea solitudine pedalando sui sentieri verso Naturno.... il sole gioca con i profili delle montagne ma è difficile catturarne la bellezza con la macchina fotografica... ci rinuncio. Me lo terrò per me. 
Il lago Resia è completamente ghiacciato all'arrivo, mai visto uno spettacolo del genere! Neve intorno, freddo alle mani. Azz!! Ho perso i miei guanti invernali prima della partenza.... chissà perché pensavo di non averne bisogno. Il sole mi ha ingannata. Facciamo le foto di rito

 mentre mi si sta congelando tutto, la neve che si scioglie schizzando dalla ruota dietro mi ha completamente bagnata la schiena: geeeelooo!!!  

Bellissimo un giro invernale su queste montagne. Sono contenta sia andata così: ora è tempo di scappare verso il treno che ci riporterà dalla nostra cara Cristina, che ci sta aspettando per la cena. Voliamo letteralmente verso Malles.... sono un missile. Sono troppo felice.

Marco.....non sei meno importante, ma oggi è il giorno delle Donne!


01 marzo 2017

In quattro verso il Prestigio. L'inizio di Laigueglia

È partita Domenica la stagione delle Granfondo 2017 e come ormai succede da qualche anno, il battesimo ufficiale avviene a Laigueglia.

Anche quest’anno il club era schierato sulla riviera ligure, pronto a scattare all’apertura delle griglie. Del “Reparto Corse” erano in Quattro, il loro obbiettivo è il Prestigio di Cicloturismo, lo scudetto da cucire sulle maglie. Alessandro Galluzzo, Ramon Stefanelli, Stefano Baccigotti, Fabio Fornacciari. Questi sono gli indomiti quattro che gireranno l’Italia alla ricerca del Tricolore.

Andiamo a vedere come è partita la loro avventura.

Alessandro Galluzzo. 9-:
Va alla ricerca del terzo Prestigio consecutivo, mai in questi anni era partito così forte, ha mantenuto la forma dell’Estate e nell’inverno l’ha addirittura cresciuta. Arriva tra i primi 400, patendo un po' il finale, ma come prima Granfondo, è tanta roba. Il meno dopo il 9 è solo una domanda: ”Si sarà depilato in occasione della prima Granfondo.”

Ramon Stefanelli 8-:
Non è ai livelli di Galluzzo ma non delude. La finisce e sfiora l’entrata tra i primi 1000. A fine Febbraio ha già abbondantemente superato i 2000 km pedalati. La stagione è appena iniziata, ma anche se su Strava fa il modesto e pone l’obbiettivo ai 15 mila chilometri, se continua così potrà sforare i 20 mila. Il meno è meritato proprio per i chilometri pedalati. Da uno che ne ha già fatti più di 2000, in meno di 60 giorni, ci si aspetta di più. Ma stiamo parlando di Ramon, quel meno quindi equivale a 9+.

Fabio Fornacciari 10:
Arriva a 16 minuti da Ramon lasciando tutti a bocca aperta. Lui è la prova vivente che il primo fatica come l’ultimo. I racconti delle sue crisi sulle grandi salite sono epocali. Sullo Stelvio vorrebbero dedicargli un monumento, noi intanto gliene dedichiamo uno simbolico. Il lavoro invernale fatto in palestra comincia a dare i suoi frutti e per il proseguo della stagione la speranza di vederlo ancora più avanti è grande. Intanto come partenza non ci si poteva aspettare di meglio.

Stefano Baccigotti 7/8, ma anche 6-:
Ci riprova con il Prestigio, dopo che tre anni fa ad Aprile era scoppiato con un palloncino troppo gonfio. Il botto si sente ancora ma la preparazione invernale non si è distaccata molto da quella passata. Giri lunghi, Raticosa, Futa, ma niente Zanchetto con la neve. Arriva molto attardato, ma arriva e per l’anziano più giovane del gruppo per il momento va bene così. Forza Stevi, e speriamo bene…