09 marzo 2017

Domenica di vento

L'inverno di un ciclista inizia due mesi prima di quello del calendario. Inizia l'ultima Domenica di Ottobre, quando torna l'ora solare. Un'ora in più di buio, che arriva presto al pomeriggio e non si può più uscire dopo lavoro.

Questo è stato un lungo inverno e deve ancora finire, non ci ha regalato neve e neanche tanta pioggia, una sola Domenica brutta in 5 mesi, ma sicuramente il freddo non l'ha fatto mancare.
Ieri mattina la primavera provava a farsi strada, ma l'aria portata da un forte vento sapeva di neve.

Mongardino alle 8 di mattino non era tranquilla come al solito, con nelle orecchie il sibilio del vento e la strada inumidita dalla pioggia del sabato. Anche dopo, quando l'abbiamo scalato da Sasso, il vento la faceva da padrone, ma a quel punto il sole cominciava a intravedersi tra le nuvole, che sempre minacciose, se ne stavano andando.
E il vento la faceva da padrone anche in discesa. Ma questa volte era gentile, una gentilezza irrequieta che ci mandava giù a spintoni, spingendo le gambe a velocità mai fatte prima. Un vento che faceva saltare anche Strava, con una media di 51 km/h arrivando a Calderino distrutti.

L’unico tratto a favore di vento ce lo sputtaniamo nel modo migliore per divertimento, nel modo peggiore in vista del proseguo del giro.

Recuperiamo l’inattesa fatica mulinando agili su per San Lorenzo, le strade cominciavano ad asciugarsi come capelli al caldo getto del phon e la discesa verso Ponte Ronca l’affrontiamo tranquilla, questa volta senza tirarci il collo come pazzi sfrenati, ammirando la pianura con in fondo, inconfondibili, i Colli Euganei.
Il vento gentile e irrequieto stava facendo pulizia.

Tra San Savino e via Puglie Lorenz, per salire a Oliveto, sceglieva vie Puglie, ricordandosi solo quando ormai era troppo tardi, dell’ultimo strappo taglia-gambe poco prima della bella borgata medioevale.
Il vento continuava a spirare forte ma il sole cominciava a fare capolino seriamente in cielo e quasi a placarlo ci concedeva un po' di riposo nell’attraversare MonteVeglio per salire a MonteBudello.

Bologna ha i portici di San Luca, Bazzano ha MonteBudello. Non vi sono portici ma è raro trovarsi soli mentre si percorre questa salita. Chi camminando, chi correndo, chi chiacchierando, chi ascoltando musica, la salita che arriva alla Chiesa tra Savignano e Bazzano, sopra le vigne della Mancina, è sempre animata.
Noi parlavamo, ma spingevamo anche, fin su al Pazz, poi giù verso Savignano sul Panaro, tra troppe buche sull’asfalto, vigne che chiamavano caldo e rivoli d’acqua che tagliavano la strada.
Aspettavamo Steve mentre pensavamo già alla prossima fatica. 

La prossima fatica arriva in fretta. Pochi chilometri di pianura e si ricominciava a salire. Stavo tirando e comincio la salita ancora tirando.
Guiglia è una salita apparentemente semplice ma proprio questa semplicità la rende assai complicata, ogni scalata è diversa dalla precedente quasi che la salita cambi pendenza in base alla giornata.

Tiravo, quando al primo tornante mi viene in mente che dovevo mangiare. Allungo la mano nella tasca e mi succhio un ciucciotto di maltodestrine. Rallento un filo e Ale mi supera, con lui anche Steve e Lorenz. Mi metto a ruota ma l’andatura è troppo elevata per me. Eppure l’abbiamo fatta molto più forte altre volte, forse però non avevamo sessanta km sulle gambe e già di 1000 metri di dislivello sulle gambe.
Riesco a rimettermi a ruota, Ale è in caccia di due ragazzi che girano affiancati chiacchierando tranquillamente. Andavamo a tutta, li vedevano già dal tornatone di Case Sereni, eppure li abbiamo ripresi poco prima dell’incrocio di Castelletto. Andavamo a tutta, loro invece chiacchieravano.

Saliamo ancora, serviva acqua e la piazza di Guiglia con la fontana e una vista che apriva da Modena fino ai Colli Euganei era la sosta perfetta.
Dovevamo salire ancora, Zocca era ancora lontana.

Salivamo ancora non smettevamo di salire.
Poco dopo Monte Orsello superavamo un ragazzo de La Rupe di Sasso Marconi, proprio nel mentre del sorpasso gli esplodeva la camera d’aria.
Avvisavamo il suo compagno che era pochi metri più avanti che ringraziava gentilmente e ci chiedeva se potevamo avvisare quelli davanti a lui, che ci chiedevano di avvisare quelli davanti ancora, che ci chiedevano di avvisare quello davanti a loro, che ci chiedeva di avvisare quello dopo la curva, che ci chiedeva di avvisare quelli più forti davanti ancora, che ormai eravamo arrivati a Pistoia.
No non è vero, ma dovevamo farla piano insieme a Steve, invece, a forza di avvisare, Rocca Malatina era stata attraversata senza accorgersene e soprattutto senza Steve.

Mentre salivano qualcosa in me si svegliava. Era lo stomaco, che reclamava qualcosa di più di una barretta e qualche maltodestrina. La Tigelleria in centro a Zocca era l’ideale. Me ne avevano parlato benissimo, i ragazzi si fermavano sempre, quando io non c’ero.

La Tigelleria era chiusa. Chiusa per ferie. Ci passiamo davanti con una lacrima agli occhi e lo stomaco ululante. Con fatica e controvoglia il braccio destro si allungava in tasca e la mano, schifata, afferrava un’altra barretta alle mandorla. Lo stomaco, pur inorridito, smise di ululare.
Lama di Zocca, Conventino e Tolè, in successione, battagliando come se a Tolè ci fosse l’arrivo di una tappa alpina del Giro. A Tole non c’era nessuno, tutti già con le gambe sotto al tavolo per il pranzo della Domenica che ha sempre qualcosa in più di un pranzo normale.

Ci aspettava solo discesa, finalmente una lunga riposante discesa. Il giro era quasi finito ma io un’altra salitella volevo metterla. Giusto per arrotondare a 150 km e 2300 di dislivello.

Poggio Respighi, o il Monticino, semplicemente via Predosa, sognando di farla a tutta, catapultato nella realtà invece salivo con il 39×27 agile agile, ammirando le vigne di Pignoletto nascere al sole e desiderando un bicchiere ghiacciato del loro frutto agitarmi il corpo, concludevo il giro così.

Magari se avessi mangiato quella tigella a Zocca avrei fatto a che San Martino…

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