19 luglio 2017

Domenica perfetta pedalando in Appennino

C’è un cielo azzurro che ricorda la maglia della nazionale quando esco di casa. Un azzurro che non vedevamo da un po', attanagliati dall’afa e dal caldo. Ma un po' di vento ha ripulito tutto come una spugna su una lavagna e ha rinfrescato come non eravamo più abituati. Dal bosco esce l’odore della felce bagnata e del terreno umido che finalmente respira. Metto l’antivento e scendo a Lizzano.

Discesa fresca come mai avrei sognato, a Lizzano già si respira un’altra aria ma sempre molto piacevole. I ragazzi sono già pronti a partire, anzi io ero anche un poco in ritardo e Steve mi stava già venendo incontro. Scendiamo a Silla dove prendiamo un caffè veloce, forse anche troppo veloce, ma la voglia di pedalare è tanto e non può essere un caffè a fermarci.

Che poi, volendo, il caffè potevamo prenderlo al chilometro cinquanta, in centro a Pistoia, ma Steve non aveva fatto colazione e non poteva assolutamente prendere la prima salita, di quasi venti chilometri, senza caffeina in corpo.

La Porrettana, da Ponte Della Venturina fino alla Galleria del Signorino, è un incanto dentro a molti quadri. In ombra per buona della giornata regala scorci magnifici, con case in sasso circondante da verdi giardini e poco sotto il fiume che scorre tranquillo, ma vivo.

Dal Signorino a scendere si entra in un nuovo mondo. La Toscana era iniziata già attraversato il Reno ma sapeva ancora molto di Emilia, qui invece scendendo verso Pistoia, all’improvviso i castagni, gli aceri e i faggi fanno posto a distese verdi scure di ulivi. Le indicazioni per gli agriturismo si sprecano ma noi dobbiamo solo circumnavigare Pistoia per risalire verso l’Emilia, verso l’Acquerino passando da Candeglia.

Arriviamo alla borgata Pistoiese in breve tempo, dopo una piccola, forzata, deviazione sui colli. Dal semaforo si può dire che inizia la salita. Anzi era già forse iniziata all’incrocio precedente.

Arrivare in cima sono quasi quattordici chilometri, Strava fa partire il settore al bivio, quando la strada si impenna vicina e spesso sopra al dieci per cento. Rimane così a lungo fino ai meno tre km quanto tra costoni di roccia finalmente spiana.

Sali e guardi il cielo perché questa strada non molla mai, dai primi chilometri immersi in campi di ulivi si passa a bellissimi castagni, poi a giovani querce fino ad arrivare in cima, quasi a mille metri, circondati da freschi da Abeti e faggi. Quando il panorama si apre capisci bene quanto stai salendo. Pistoia si fa sempre più piccola fino a nascondersi dietro la montagna che hai appena scalato, mentre appare Prato e le prime case di Firenze. Il panorama è uno spettacolo, staremmo lì ore ad ammirarlo, ma la salita ha richiesto parecchio sforzo e l’acqua scarseggia.

Cominciamo a scendere verso l’Acquerino ma per la fontana dobbiamo faticare ancora, un ultimo strappo, cattivo, e finalmente possiamo dissetarci.

Dopo tanta salita arriverà anche tanta discesa. Ma non funziona proprio così, perché si scende poco per brevi tratti e poi si risale per altri brevi tratti, molto pendenti. Succede a Monachino, prima che la strada ritorni a due corsie c’è un chilometro al dodici per cento che ti accoltella le gambe alle spalle come il peggior serial killer dei film e succede due chilometri prima dell’incrocio per Treppio quando la strada, dopo un po' di relax, si inclina nuovamente e lo fa di cattiveria sfiorando i tralicci dell’alta tensione che per i più sensibili fanno sentire watt non desiderati.

Dall’alto di questa cattiveria della natura si può ammirare una bellezza inventata dall’uomo, con il lago di Suviana a dominare il panorama in tutta la sua maestosità, quasi fosse un grande lago Italiano.

Scendiamo verso Porretta dalla strada che finisce a Ponte della Venturina e forse questo tratto è il più riposante che incontriamo dall’Acquerino. A Silla si ricomincia a salire. Le indicazioni parlano chiaro, Lizzano quindici chilometri, Corno alle Scale ventisette.

Nella vita ognuno può avere le sicurezze che vuole, Steve ha la sicurezza di fermarsi a Lizzano, dove lo aspetta la morosa che poco prima di Crociale ci supera in macchina facendosi sentire molto bene. Io, Lorenz e GianLuca, invece, abbiamo la certezza che una giornata così bella, limpida e pure fresca, in estate non la troveremo mai più e allora ci sembra doveroso, quanto giusto, raggiungere la fine della strada ai 1600 metri delle Piste del Corno alle Scale.

Trenta chilometri di salita che saliamo veloci quasi sempre insieme fino agli ultimi tre chilometri, a Madonna dell’Acero, lì dove la strada impenna al quattordici per cento e non torna più giù fino al Cavone.

Lì guardando il Santuario ognuno spinge con le forze che gli sono rimaste, venerando santi, Dei e Madonne in cui crede. Al lago del Cavone Gianluca molla e allora l’ultimo chilometro lo facciamo solo io e Lorenz. Sembra poco, ma dopo trenta chilometri di salita con gli ultimi tre al quattordici per cento, anche quello strappo che passa sotto alla pista da sci più lunga dell’EmiliaRomagna fa soffrire in una maniera atroce, e alla fine per chi ha rinunciato, non c’è poi molto rimpianto.

L’unico rimpianto rimane una volta arrivati alle macchine e vestiti. Perché la festa Bavarese non fa orario continuato e quando arriviamo davanti alle cucina, verso le 15, troviamo le tende abbassate. Si rialzeranno alle 19. Come noi, altri ragazzi in cerca di una birra, virano sui bar ai lati della via.

Tralasciando delusione e polemiche, dopo 140 km e 3000 metri di dislivello, la fame è troppo grande per arrendersi.

La Cà e la Dispensa di Massimo distano solo pochi chilometri. Prendiamo la macchina e alle 15:15 abbiamo davanti ai nostri occhi un tagliere di affettati nostrani, tigelle vere, grandi e panose e soprattutto 4 bottiglie di birra Gaggiolino, ottime per reintegrare le fatiche ciclistiche.

Che poi, io, la Festa Bavarese me l’ero già goduta venerdì sera, e dopo lavoro un litro di birra e un bel stinco con patatine, furono come trovare oro nel Reno. 

Ma la delusione dei miei amici, che non hanno potuto godere di tanto ben di Dio è durata veramente poco.

Perché, poi, alla fine, che ne sanno i Bavaresi di come si recupera un giro in bicicletta sui nostri monti?

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