13 giugno 2017

Granfondo Cooperatori, senza chip ammirando l'Appennino Reggiano

Era quasi freddo quando ho caricato Lorenz davanti a casa sua alle 6:15, era, invece, quasi caldo quando siamo partiti alle otto meno dieci, dalla Piazza di Albinea per la Granfondo Cooperatori ex Due Passi Matildica.

Niente chip quest’anno, niente griglia, solo cicloturistica, timbri il cartellino e parti. Anzi timbri il cartellino, parti, ti accorgi che il Garmin è spento, ti fermi, accendi, aspetti il segnale gps e riparti.

Tranquillità da cicloturistica, come la prima salita che come sempre ad Albinea comincia a 100 metri dalla partenza. Sei chilometri e mezzo indica il cartello, ma in realtà sono anche otto. Salita agile che l’anno scorso partendo davanti e soffrendola da subito non mi ero goduto. Una salita molto bella, che nonostante l’afa già presente apre a tutto all’Appennino, con a sinistra l’imponente Cimone e più dietro l’inconfondibile punta del Corno Alle Scale, dove è posta la Croce, Punta Sofia. Si sale e si attraversano i primi colli reggiani tagliandoli in due, passando da casolari, stalle e agriturismi da fare invidia al Chianti, come l’Agriturismo Cavazzone che solo a guardarlo ti viene appetito.

A me in realtà appetito non viene, ho passato una settimana di cene e cenette tutti i giorni fuori, conclusasi il sabato a mezzanotte e mezza ad uno splendido matrimonio sui colli bolognesi. Il vantaggio è che per tutta la Granfondo non ho bisogno di mangiare, ne ho da smaltire parecchio e bastano due ciucciotti e due pezzi di parmigiano-reggiano, andato giù più per golosità, che per  bisogno per fare 140 chilometri anche abbastanza tirati.

Si perché non c’è chip ma con me c’è Lorenzo Tognetti, l’uomo che appena la strada si impenna accelera. Non sei un ciclista vero se non fai una granfondo da solo con un Lorenzo Tognetti.
La prima salita si limita, quasi si scalda, ma nella seconda non ha pietà. Che poi numerare le salite in questa Granfondo non è facile. Discese vere non ce ne sono, ci sono piccoli tratti intervallati da mangia bevi crudeli quanto belli. Al quindicesimo chilometro guardo il dislivello, è già a 500 metri.

La seconda salita porta sull’Appennino Reggiano a VillaMinozzo. Dico subito a Lorenz di andare e di aspettarmi in cima, lui mi ascolta e va, ma quando vedo che, nonostante tutto, la gamba gira da Dio e lui è lì a pochi metri da me, non lo mollo un attimo, se non a poche centinaia di metri dal paesino reggiano .

In cima il primo ristoro, non mangio ma bevo due bicchieri di coca-cola che mi aiutano a digerire la cena del mercoledì. La cena del giovedì ci pensa Lorenz a farmela digerire, perché prima della discesa vera parte a tutta su un falsopiano, facendomi vedere nero per non pochi chilometri.

Poi per fortuna il panorama si apre, si esce dai freschi boschi appenninici e si comincia la cottura al sole, ma soprattutto si ammira, da un belvedere, la Pietra di Bismantova svettare tra i monti in tutta la sua maestosità, la sua particolarità e la sua magia. Perché questo monte, chiamato da sempre la Pietra, citata da Dante nella Divina Commedia e la cui denominazione, Bismantova, non è in realtà chiara neanche ai giorni nostri, si dice sia veramente magica. E pedalare al cospetto della Pietra ti fa entrare appieno in questa magia, un’energia che pochi altri luoghi hanno al mondo. 

A Castelnuovo de Monti è festa, ristoro megagalattico con tanto di ballerine e zumba ma soprattutto, panini, acqua, fanta, coca-cola, vino e soprattutto grana. Ci ristoriamo volentieri e ripartiamo e finalmente è vera discesa. Rimango davanti quasi quindici chilometri lungo le curve e i tornanti reggiani, passiamo un  lungo fiume dove riesco a spingere bene e dove, nel fiume orde di bagnanti muovono la mia invidia mentre pedalo ai 45 orari sotto i 32 gradi di mezzogiorno.

Pedalo e faccio due conti, mancano ancora trenta chilometri e quasi 600 metri di dislivello. Manca sicuramente una salita, ed infatti dopo pochi chilometri ecco una svolta a destra e il cartello “inizio salita” indica 8 km. Io e Lorenz saliamo bene anche se il caldo ci schiaccia. Più saliamo più mi chiedo come possa essere lunga otto chilometri quando sembriamo già in cima. Infatti dopo quattro chilometri abbondanti ecco un ristoro ed un controllo. È provvidenziale per molti, l’acqua e le bibite sono belle fredde e riprendere in leggera discesa è un piacere. Piacere che dura poco perché infatti la strada ricomincia a salire e anche cattiva lungo una serpentina di tornanti che si snoda al sole come un rettile a scaldarsi dopo un lungo inverno. Serpentina che all’improvviso si addentra nel bosco e si impenna ancor di più verso un borgo fatto di case e stalle, situato proprio sul cucuzzolo della collina. E la discesa fa venire i brividi, solo a pensare a come possa essere farla in salita e personalmente mi mette nel primo tratto anche un po' di vertigini.

Finisce la discesa e inizia l’unico tratto di pianura di tutta la Granfondo. Mi metto davanti, approfittando delle mie attuali doti di passista, chiedo il cambio a Lorenz un paio di volte, ma esile e scalatore fatica un po' a mantenere la mia velocità. Alla nostra ruota una ragazza gentile che si scusa se non tira e quasi si arrabbia quando, ad ogni gruppetto ripreso, e durante la Granfondo sono stati tanti, tutti si accodano e nessuno tira.

Ma è sempre così, ormai l’esperienza è tanta e ci si è fatta l’abitudine e terminare Granfondo come questa è sempre comunque un piacere.

Pedalare in tranquillità, senza chip, ma sempre di buona lena. Dopo tanto agonismo ci voleva e forse ce ne vorrebbero di più.

Senza forse, ce ne vorranno di più come la Granfondo Cooperatori.

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