le uscite, gli eventi, le foto di un gruppo di appassionati di strada e MTB di Casalecchio di Reno
27 settembre 2017
Domenica? Tutti al Mare!
Domenica Tutti al Mare
Ultimi aggiornarmenti
Causa visita del Papa a Bologna dobbiamo cambiare percorso, e cambio Ristorante (Cristallo chiuso per Ferie)
Ritrovo presso Malinibici ore 07.20 puntuali, ore 07.30 si parte.
2° Ritrovo presso la Rotonda di via Sabena del Lazzaretto Bologna (fuori dal tunnel dell'Ospedale Maggiore) ore 08.00
Si prosegue per Punta Marina.
Ore 12.00 circa arrivo presso Ristorante Molinetto, via Circonvallazione Canale Molinetto 139/b Punta Marina Terme, telefono 0544 430248.
Rientro in Treno: Usciti dal ristorante si va a destra sulla ciclabile che porta a Ravenna e da qui in Stazione FS circa 10 km per 25 minuti.
Treni disponibili ore:
Partenza 15.33 e arrivo a Bologna Centrale 16.54
Partenza 17.33 e arrivo a Bologna ore 18.54
Ricordatevi i luchetti!!!
24 settembre 2017
I magnifici 4 Prestigiosi 2017 del Club.
Ci aveva provato un paio d’anni fa. Si era allenato duramente, sotto e sopra la neve, poi all’inizio delle Granfondo un botto incredibile si era sentito dalle parti della Croce di Casalecchio. Niente di preoccupante, era solo la voglia di Pedalare di Stefano Baccigotti che era esplosa e andava in frantumi disintegrandosi in milioni di frammenti.
Ma oggi, dopo due anni a rimettere a posto quei frammenti, il grande Steve ha conquistato finalmente, dopo non poca fatica, il Prestigio di Cicloturismo!
Un applauso in più per Baccigotti, ma un applauso grande anche per gli altri tre che si cuciranno lo Scudetto della più famosa rivista italiana, sulle maglie fluo del Club.
L’infinito e mai domo Fabio Fornacciari, che ormai da anni tutta la stagione solca le strade italiane in lungo e in salita ogni tanto anche in largo.
L’incredibile Ramon Stefanelli che finalmente nonostante i suoi pazzi allenamenti comincia anche ad andare forte e per finire, ultimo ma primo sia come tempi, sia come conquiste con il terzo Prestigio consecutivo, il bello del Club, (e questo la dice tutta sulla bellezza del gruppo), il super Alessandro Galluzzo.
Applausi a tutti, per qualcuno di loro le Granfondo non sono ancora finite, ma il risultato più importante è stato raggiunto.
GRANDI RAGAZZI!
14 settembre 2017
Al Mare in Bicicletta
31 agosto 2017
Otztaler 2017, l'impresa è fatta.
Inverno, Primavera, Estate a preparare questi tre giorni. E questi tre giorni sono arrivati. Ma è la Domenica il giorno più importante, ormai pensiero fisso da inizio Febbraio.
È arrivata dopo una lunga dormita un po' nervosa la giornata che aspettavamo da mesi. Non ci sono nuvole in cielo, l’aria è fresca e profuma ancora della pioggia caduta nella notte.
Ognuno ha le sue abitudini, ognuno le sue scaramanzie. Mentre Loris va in griglia alle 5:30 per essere davanti io e Matteo andiamo all’ultimo minuto per partire dietro.
La partenza è incredibile. Sono le 6:45 e Sölden brulica di persone che fanno tifo da stadio accompagnati dalla musica a tutto volume del palco di partenza. L’ansia sparisce, l’adrenalina si impossessa delle gambe e la cosa più difficile è trattenerla, perché in questa lunga giornata averne un po' di scorta sarà importante.
Le parti facili di questa manifestazione sono partenza e arrivo. Si parte in discesa si arriva in discesa. Il resto è tutto una conquista.
La prima salita, il Kuhtai, è lunga diciotto chilometri, trafficata dal gruppone ancora compatto soprattutto nei primi pendenti chilometri per uscire da Otz, poi è solo bosco, con il rumore dell’acqua che scorre a lato strada e le mucche in cima che pascolano libere, un po' intimorite da tutte queste bici.
La discesa è folle. Si possono toccare anche i cento km/h e in poco meno di mezz’ora si arriva in centro a Innsbruck. La si costeggia e poi si comincia a salire verso l’Italia, verso il Brennero.
Quasi quaranta chilometri di falsopiano a salire, tanto belli quanto logoranti e traditori. Spendere troppo in questa salita vuol dire rischiare grosso nei chilometri successivi. E non è facile trattenersi dall’andare dietro a gruppetti di passistoni tedeschi che sfrecciano lungo le curve della statale. Il tifo anche sul Brennero è incessante, ogni paese che si attraversa è un applaudire costante di folla entusiasta che ti incita a squarciagola.
Si entra in Italia e finisce la salita. Una piccola e veloce sosta al ristoro per riempire le borracce e mangiare un panino al formaggio e si riparte subito. Pochi chilometri, si arriva a Vipiteno e si comincia a salire sul Passo Giovo. Quindici chilometri per arrivare a duemila metri di altezza. Una salita agevole ma costante con gli ultimi tre chilometri a vista del passo che la rendono interminabile.
Dall’alto è uno spettacolo, il serpentone dei ciclisti intenti a salire rende animate anche le rocce, e lo scenario di un cielo che è strada per nuvole veloci, sopra a queste immense montagne, riesce a farti addormentare la fatica e rinvigorire la voglia di andare avanti.
E la voglia di andare avanti, di arrivare a Sölden, è tutto quello che serve per affrontare il Rombo, l’ultima salita di giornata.
Passo del Rombo per gli Italiani, Timmelsjoch per gli Austriaci, trenta chilometri, che vanno dai settecento metri di San Leonardo, ai 2500 del Passo.
Trenta chilometri di salita dopo quasi centoottanta già percorsi.
Trenta chilometri durissimi che mettono alla prova tutto te stesso. Primi sette chilometri agevoli, poi da Moso la strada diventa cattiva, inesorabile, si arrampica sui boschi tirolesi con violenza inaudita. Per sette chilometri non c’è pausa, non un metro di riposo, poi la strada spiana, prima lievemente, poi più convinta. Qualche chilometro di respiro, poi ai meno dieci la strada ricomincia a salire, si cambia versante e dai meno otto sono tutti al dieci per cento. Salgono lungo la montagna con drittoni che sembrano infiniti ma che si interrompono improvvisamente con decisi tornanti.
Non sei mai solo sul Rombo, anche se in realtà lo sei sempre. Solo con la tua fatica, con i tuoi pensieri, finché hai forza di farne.
Poi ai meno due chilometri alzi lo sguardo e vedi che dopo due tornanti e tre drittoni la strada improvvisamente sparisce dentro alla montagna. Non la vedi ma sai che lì c’è la galleria che ti porta in Austria, la galleria che segna la fine delle fatiche, anche se alla cima mancano ancora due chilometri, ma quasi tutti piani.
Arrivare a quella galleria è emozione grandissima, ti rendi conto di quello che hai fatto e le forze si rianimano pronte a guidarti in discesa. Ma l’Otzaler è speciale anche per le sorprese che sa regalarti quando ormai pensi di avercela fatta. La discesa non è continua, dopo qualche chilometro di picchiata, all’improvviso, una rampa in salita di un chilometro e mezzo al dieci per cento ti si para davanti come uno scherzo cattivo in una festa di laurea.
Ma la festa è già iniziata. Sono gli ultimi dieci minuti di sofferenza poi la discesa apre le feste e l’ultimo zampellotto a due chilometri dall’arrivo è pedalato con la forza dell’emozione. Esultare per quell’ultimo tratto di salita è naturale, come naturale è esultare all’arrivo, dove la festa che il pubblico e l’organizzazione ti riservano e riservono a tutti coloro che arrivano, è un’emozione che rimarrà per sempre.
Sentirsi eroe, è la grande forza dell’Otzaler, perché finirla, sportivamente ti fa sentire eroe vero.
E un po' mi sono sentito eroe, sicuramente un’impresa che mai avrei pensato di fare. L’ho tenuta sempre lontana, per il periodo in cui si svolge e anche per la durezza. Poi quest’anno la decisione di farla, con mille dubbi, mille paure. Impossibile porsi un obbiettivo di tempo, volevo solo finirla anche se inconsapevolmente rimanere sotto le dieci ore sapevo me l’avrebbe fatta sentire ancora più Impresa.
Nove ore e tre quarti, la gioia è doppia e festeggiarla con sei birre, due panini allo speck, un piatto di pasta, uno di patate e salsiccia e una pizza, è il minimo.
Si arriva fino all’una di notte, scorre più birra che acqua nel fiume, che non è poca, poi si va a letto, con ancora l’adrenalina che la fa da padrone.
Ma adesso è veramente finita, è finita almeno fino alla prossima impresa.
11 agosto 2017
Appennino Bagnato
Nuvoloni bianchi e altri più grigi correvano alti nel cielo sopra Lizzano ,mentre i ragazzi scaricavano le bici dalle auto appena arrivati da Casalecchio. Le previsioni non erano preoccupanti anche se qualche meteo pessimista lo si poteva trovare.
Salendo verso Pracchia a buon ritmo nuvoloni più neri ci circondavano ed il cielo azzurro cominciava a restringersi. L’afa però la faceva da Padrona, nonostante il sole scaldasse solo a sprazzi, il calore che saliva dall’asfalto lasciava senza fiato e bagnava di sudore le nostre divise.
Eravamo in cinque e per la prima volta nella storia del Club Malini avevamo tutti le stesse divise.
A San Marcello Pistoiese riempivamo le borracce. Neanche quaranta chilometri ma la borraccia era già vuota. Guardavamo i monti verso Prunetta, nostra prima destinazione e qualche dubbio sul fatto che forse potevamo prendere l’antipioggia, ci assale. L’unico che per scrupolo o forse per età che l’aveva preso è Steve, che poco dopo aver imboccato l’incrocio per Montecatini, Piteglio e Prunetta, lo indossava grazie alla sosta obbligata da gocce grandi come chicchi di grandine che allagavano tutto.
Pochi minuti fermi e passato il temporale ripartivamo. Ramon ispirato dalla salita e dalla partenza di un settore di Strava partiva con furore, tirando dritto all’incrocio per Piteglio che gli avevo segnalato all’inizio della salita.
Lo chiamiamo, lo aspettiamo e scendiamo verso il pittoresco paese Toscano. Qualche chilometro di discesa avvertivano che poi si sarebbe saliti parecchio. Solo noi per strada salendo verso Casa Monte , parlando e accelerando solo gli ultimi chilometri con Tognetti e finalmente Ramon scatenati.
Tutti insieme salivamo a Macchia Antonini splendido bosco dove incontravamo di nuovo essere umani dopo svariati chilometri di assoluta solitudine. Prunetta è trafficata nonostante il cielo plumbeo, dopo una sosta veloce per acqua e selfone di gruppo ripartivamo in discesa , costeggiando il Reno appena nato e fermandoci a Le Piastre dove le nostre strade si sarebbero separate.
Lorenz, Gianluca e Ramon scendevamo a Pistoia per risalire poi dal Signorino mentre io e Steve scendevamo verso Pracchia cominciando a tornare indietro. Il cielo dalla parte dell’Orsigna era nero come pece ma su di noi scendevano solo poche gocce e il fastidio più grande che davano era quello di bagnare la strada.
Nonostante la strada bagnata scendevamo veloce verso Ponte della Venturina da dove si vedevano fulmini potenti scaricarsi verso Silla. Il tempo di arrivarci e fortunatamente il temporale era già andato verso la città, mentre dalla strada scendevamo fiumi di acqua schiumosa.
Salendo verso Gaggio il cielo si era aperto e un blu azzurro intenso dominava sopra le nostre teste. Il sole scaldava l’asfalto rendendo la salita una sauna che con grande fortuna di spegneva a Gabba, quando tre minuti di acquazzone mi bagnavano, per la prima volta in questo 2017, mentre ero intento a spingere quasi a tutta per evitare il temporale che montava dal Corno.
Ma il temporale scendeva e evitava la mia strada. A Querciola mi giravo verso Silla e la paura mi assalì. Si vedeva solo nero, nero e fulmini che squarciavano il nero.
Pensavo ai ragazzi a cosa stavano incontrando a salire dalla Porrettana e pensavo a me, che quel giro lo avevo proposto, e che per impegni familiari non avevo potuto completare.
I ragazzi avrebbero preso un battello d’acqua e la salita da Pistoia al Signorino se la sarebbero ricordati per un po'. Io tranquillizzato dal fatto che tutti stavano bene, cominciavo già ad immaginare il giro di Sabato.
La Porrettana da Pistoia, asciutta. Speriamo…
19 luglio 2017
Domenica perfetta pedalando in Appennino
C’è un cielo azzurro che ricorda la maglia della nazionale quando esco di casa. Un azzurro che non vedevamo da un po', attanagliati dall’afa e dal caldo. Ma un po' di vento ha ripulito tutto come una spugna su una lavagna e ha rinfrescato come non eravamo più abituati. Dal bosco esce l’odore della felce bagnata e del terreno umido che finalmente respira. Metto l’antivento e scendo a Lizzano.
Discesa fresca come mai avrei sognato, a Lizzano già si respira un’altra aria ma sempre molto piacevole. I ragazzi sono già pronti a partire, anzi io ero anche un poco in ritardo e Steve mi stava già venendo incontro. Scendiamo a Silla dove prendiamo un caffè veloce, forse anche troppo veloce, ma la voglia di pedalare è tanto e non può essere un caffè a fermarci.
Che poi, volendo, il caffè potevamo prenderlo al chilometro cinquanta, in centro a Pistoia, ma Steve non aveva fatto colazione e non poteva assolutamente prendere la prima salita, di quasi venti chilometri, senza caffeina in corpo.
La Porrettana, da Ponte Della Venturina fino alla Galleria del Signorino, è un incanto dentro a molti quadri. In ombra per buona della giornata regala scorci magnifici, con case in sasso circondante da verdi giardini e poco sotto il fiume che scorre tranquillo, ma vivo.
Dal Signorino a scendere si entra in un nuovo mondo. La Toscana era iniziata già attraversato il Reno ma sapeva ancora molto di Emilia, qui invece scendendo verso Pistoia, all’improvviso i castagni, gli aceri e i faggi fanno posto a distese verdi scure di ulivi. Le indicazioni per gli agriturismo si sprecano ma noi dobbiamo solo circumnavigare Pistoia per risalire verso l’Emilia, verso l’Acquerino passando da Candeglia.
Arriviamo alla borgata Pistoiese in breve tempo, dopo una piccola, forzata, deviazione sui colli. Dal semaforo si può dire che inizia la salita. Anzi era già forse iniziata all’incrocio precedente.
Arrivare in cima sono quasi quattordici chilometri, Strava fa partire il settore al bivio, quando la strada si impenna vicina e spesso sopra al dieci per cento. Rimane così a lungo fino ai meno tre km quanto tra costoni di roccia finalmente spiana.
Sali e guardi il cielo perché questa strada non molla mai, dai primi chilometri immersi in campi di ulivi si passa a bellissimi castagni, poi a giovani querce fino ad arrivare in cima, quasi a mille metri, circondati da freschi da Abeti e faggi. Quando il panorama si apre capisci bene quanto stai salendo. Pistoia si fa sempre più piccola fino a nascondersi dietro la montagna che hai appena scalato, mentre appare Prato e le prime case di Firenze. Il panorama è uno spettacolo, staremmo lì ore ad ammirarlo, ma la salita ha richiesto parecchio sforzo e l’acqua scarseggia.
Cominciamo a scendere verso l’Acquerino ma per la fontana dobbiamo faticare ancora, un ultimo strappo, cattivo, e finalmente possiamo dissetarci.
Dopo tanta salita arriverà anche tanta discesa. Ma non funziona proprio così, perché si scende poco per brevi tratti e poi si risale per altri brevi tratti, molto pendenti. Succede a Monachino, prima che la strada ritorni a due corsie c’è un chilometro al dodici per cento che ti accoltella le gambe alle spalle come il peggior serial killer dei film e succede due chilometri prima dell’incrocio per Treppio quando la strada, dopo un po' di relax, si inclina nuovamente e lo fa di cattiveria sfiorando i tralicci dell’alta tensione che per i più sensibili fanno sentire watt non desiderati.
Dall’alto di questa cattiveria della natura si può ammirare una bellezza inventata dall’uomo, con il lago di Suviana a dominare il panorama in tutta la sua maestosità, quasi fosse un grande lago Italiano.
Scendiamo verso Porretta dalla strada che finisce a Ponte della Venturina e forse questo tratto è il più riposante che incontriamo dall’Acquerino. A Silla si ricomincia a salire. Le indicazioni parlano chiaro, Lizzano quindici chilometri, Corno alle Scale ventisette.
Nella vita ognuno può avere le sicurezze che vuole, Steve ha la sicurezza di fermarsi a Lizzano, dove lo aspetta la morosa che poco prima di Crociale ci supera in macchina facendosi sentire molto bene. Io, Lorenz e GianLuca, invece, abbiamo la certezza che una giornata così bella, limpida e pure fresca, in estate non la troveremo mai più e allora ci sembra doveroso, quanto giusto, raggiungere la fine della strada ai 1600 metri delle Piste del Corno alle Scale.
Trenta chilometri di salita che saliamo veloci quasi sempre insieme fino agli ultimi tre chilometri, a Madonna dell’Acero, lì dove la strada impenna al quattordici per cento e non torna più giù fino al Cavone.
Lì guardando il Santuario ognuno spinge con le forze che gli sono rimaste, venerando santi, Dei e Madonne in cui crede. Al lago del Cavone Gianluca molla e allora l’ultimo chilometro lo facciamo solo io e Lorenz. Sembra poco, ma dopo trenta chilometri di salita con gli ultimi tre al quattordici per cento, anche quello strappo che passa sotto alla pista da sci più lunga dell’EmiliaRomagna fa soffrire in una maniera atroce, e alla fine per chi ha rinunciato, non c’è poi molto rimpianto.
L’unico rimpianto rimane una volta arrivati alle macchine e vestiti. Perché la festa Bavarese non fa orario continuato e quando arriviamo davanti alle cucina, verso le 15, troviamo le tende abbassate. Si rialzeranno alle 19. Come noi, altri ragazzi in cerca di una birra, virano sui bar ai lati della via.
Tralasciando delusione e polemiche, dopo 140 km e 3000 metri di dislivello, la fame è troppo grande per arrendersi.
La Cà e la Dispensa di Massimo distano solo pochi chilometri. Prendiamo la macchina e alle 15:15 abbiamo davanti ai nostri occhi un tagliere di affettati nostrani, tigelle vere, grandi e panose e soprattutto 4 bottiglie di birra Gaggiolino, ottime per reintegrare le fatiche ciclistiche.
Che poi, io, la Festa Bavarese me l’ero già goduta venerdì sera, e dopo lavoro un litro di birra e un bel stinco con patatine, furono come trovare oro nel Reno.
Ma la delusione dei miei amici, che non hanno potuto godere di tanto ben di Dio è durata veramente poco.
Perché, poi, alla fine, che ne sanno i Bavaresi di come si recupera un giro in bicicletta sui nostri monti?
17 luglio 2017
05 luglio 2017
Ecco i migliori scalatori di Re Monte Capra
Re Scalatore, aspettando le classifiche
Un sinonimo che si può dare alla bicicletta è difficile da trovare, ma non così difficile come uscire da lavorare, prendere questo mezzo così semplice e così magico e farsi cinque chilometri a tutta cronometrati, o quasi, insieme ad altri 30 pazzi, lungo uno storico colle bolognese.
E il bello di tutto ciò è che se a caldo la cosa principale era la classifica, quando il caldo passa e la mente si libera dalle fatiche dei tempi, dei watt, delle pedalate e dei battiti, a nessuno o quasi importa più.
Non importa quasi più niente, tranne stare in compagnia, a mangiare e bere e chiacchierare, come se fosse la prima volta che ci si incontra.
E allora si fa mezzanotte e mezzo seduti ad un tavolo che si stava abbandonando un ora prima, poco prima che la cameriera iniziasse il giro degli amari.
E se la cameriera inizia, ci vuole qualcuno che questo giro lo finisca. E chi meglio di un gruppo di scaltri ciclisti può finire un giro?
E il Giro degli Amari dopo il Re Scalatore l’abbiamo finito noi, parlando di tutto e soprattutto di niente, con il sorriso protagonista di una recita che non potrà mai finire.
Perché in attesa delle classifiche e delle foto, ( le mie prima o poi arriveranno) il sinonimo di bicicletta ve lo abbiamo trovato noi.
È amicizia!
22 giugno 2017
Pedalata Ceretolo Monte Capra
Una sfida!
Una serata tra amici!
Un "tempo" da mostrare agli amici!
Poter dire io c'ero!
Dimostra di che pasta sei fatto!
ATTENZIONE A grande richiesta si apre anche alla E-Bike!!
21 giugno 2017
Sportful 2017, due giorni sempre meravigliosi
Aver convinto il Maestro Nicoletti a bere una birra alla vigilia dei 205 chilometri della Granfondo Sportful è già stata una mezza impresa. E mentre noi ci spazzoliamo spatzle, wusterl, salsiccia, fagioli, crauti e prosciutto di Praga, lui si mangia un’insalatina e un piatto immenso di bresaola. Il Maestro è il maestro e non sbaglia un colpo, noi andiamo di gola e di fegato perché alla birra Centenario della Fabbrica di Pedavena non possiamo rinunciare.
Si ritirano i pacchi e si visita la Fiera del Palaghiaccio, poi si va a Belluno, a Sossai di Castion, nella bella e grande casa dell’Inossidabile Magnani. Un po' di relax dopo aver sistemato le biciclette per il giorno dopo, qualche cavolata qua e là e si mangia.
Un chilo di spaghetti più o meno a testa per fare il giusto carico di carboidrati, come se il pranzo in birreria non fosse bastato, mezza bresaola a testa accompagnata da qualche fetta di prosciutto e si fa fatica ad alzarsi da tavola. Servono due passi per smaltire e allora usciamo da casa Magnani e ci incamminiamo sul versato sterrato che porta al Nevegal, rigorosamente tutti in infradito.
Un chilometrino in salita verso la Chiesina di San Gaetano e un chilometrino in discesa per tornare a casa. Chilometrini che servono sicuramente per smaltire, ma che le gambe ricorderanno con gioia e delizia sulla prima salita il giorno dopo in gara.
Perché il giorno dopo sarà salita, tanta salita, sarà sofferenza, dolce e stupenda sofferta tra le guglie dolomitiche. A letto subito allora con ancora il cielo azzurro e il sole che si è appena nascosto dietro le dolomiti bellunesi. La sveglia suonerà che il sole sarà ancora a letto, e poi saranno duecento chilometri di pura passione.
La sveglia suona che la Luna è ancora alta nel cielo, facciamo colazione controvoglia e un caffè non basta a toglierci quella domanda dalla testa che ogni volta a quest’ora della notte, o della mattina se si preferisce, ci rimbomba in testa: “Perché? Chi ce lo fa fare?”. Bagno, veloci abluzioni per tutti e si sale in macchina. Come un vecchio Ds Maurizio da gli ultimi consigli al proprio corridore, anche se proprio non è, perché Guido corre per un’altra squadra.
Si entra in griglia che mancano venti minuti alla partenza come sempre l’atmosfera è carica di energia, musica a palla e lo storico speaker Paolo Mutton carica i quasi 5000 corridori pronti ad arrampicarsi sulle dure salite alpine.
Venti chilometri di pianura alla prima salita, chi la fa piano, chi la fa forte, chi la fa a ruota di quelli che vanno forte, come Guido incollato alle ruote mie e di Scomazzon.
Cima Campo è la prima salita, diciannove chilometri che partono gentili, poi si incattiviscono con alcune impennate dentro al primo paese che si attraversa e che tornano gentili dopo Col Perer, con qualche strappata verso la cima, dove la strada taglia in due la cresta e la vista apre alle Dolomiti Trentine e Bellunesi. Una salita che fatta in altra giornata sarebbe bellissima, ma che affrontata insieme ad altre 5000 persone non si riesce a gustare appieno, tra chi chiama a destra, chi a sinistra e chi già comincia pericolosamente a zigzagare.
La discesa verso Castel Tesino è veloce quanto indigesta, almeno per me. In fondo, subito dopo il paese c’è il bivio. Lungo dritto medio a destra. Fabio e Simone decidono che i 130 km con 3000 metri di dislivello del medio possono bastare, tutti gli altri tirano dritto, compreso inaspettatamente il grande Bufalo Scomazzon, che non resiste al richiamo delle amate montagne e soffrirà sulle arcigne pendenze del Manghen.
Il Manghen, 2000 metri d’altezza che partono da Telve subito con drittoni che ti danno il benvenuto in Trentino. Poi una volta preso il Passo vero e proprio la strada si restringe e si addolcisce, fino al settimo chilometro, quando all’improvviso cominci a vedere meglio l’azzurro spettacolare del cielo e sentirti nel contempo più pesante. Un solo chilometro duro, poi si torna alla normalità della pendenza media costante al 7%. Alle porte dell’unico paesino che si incontra, Calamento si torna a decollare verso la cima, con tratti a doppia cifra. Fin dopo il ristoro, quando la salita diventa quasi falsopiano e illude di un sospirato riposo che invece è solo la quiete prima della tempesta. Perché ai meno sei la strada si inclina al nove per cento e rimane così fino all’ultimo metro. Guardi verso l’alto e vedi il serpentone di ciclisti ingobbiti scalare questa fantastica montagna e lassù li vedi sparire all’improvviso dietro a dei massi. Chi l’ha già fatta sa che dietro a quei sassi c’è il Passo Manghen, il tanto agognato gpm, c’è il ristoro poco più sotto e ci sono venti chilometri di discesa verso Molina di Fiemme. Chi non l’ha mai fatta, impara presto quanto quei massi siano riferimento e nello stesso tempo dannazione, perché più ti avvicini più ti sembrano lontani.
Da Molina di Fiemme a Predazzo è il tratto più lungo senza salite escluso l’inizio. Trovare un gruppetto dove riposarsi per portarsi all’attacco del Rolle in relativa tranquillità è fondamentale. Ma se il gruppetto che si trova è indemoniato allora forse è meglio fare tutto il pezzo da soli, del proprio passo, senza tirarsi il collo. Io ho fatto così e la scelta è stata azzeccata. Perché sul Rolle già nei tornanti prima di Bellamonte il gruppetto era esploso e senza esagerare li avevo già ripresi tutti. Il Rolle non è una salita difficile, ma è lunga, calda e infinita anche lei. La fontana di Bellamonte è presa d’assalto da molti che ci si buttano dentro per rinfrescarsi dopo quattro chilometri tutti al sole. Usciti da Bellamonte la strada spiana, sale piano al due percento e per un paio di chilometri, quando costeggia il lago di Paneveggio scende anche. Per chi ha potenza questo è il momento di spingere e fare la differenza, ma senza esagerare. Io Tengo il trentanove e spingo forte sui pedali senza però andare a tutta e il risultato è eccezionale, perché sono tanti quelli che riprendo e che poi ai meno cinque, quando la strada riprende a salire seriamente fino in cima si staccano dalla mia ruota. Ai quasi duemila metri del Passo le pale di San Martino brillano al sole. Là dove l’anno scorso avevo trovato una giornata da tre gradi e pioggia, facendomi soffrire pene che mai avevo patito, ora il termometro è sopra i venti gradi e buttarsi in discesa è un piacere desiderato quanto sudato.
Anche se poi la discesa non è così agevole, perché in quella valle il vento tira sempre forte e contrario al pomeriggio e oggi lo si sente addirittura già dal Passo. Arrivare all’imbocco dell’ultima salita, il Croce d’Aune, sono quasi cinquanta chilometri e normalmente scendere dal Rolle passando da San Martino di Castrozza, Imer e Fiera di Primero è puro divertimento. Ma tra il vento e il traffico contrario da poco riaperto non ci si riesce a divertire tanto e soprattutto non ci si riesce a rilassare, arrivando agli ultimi dodici chilometri di salita che quasi li preferisci alla discesa.
Il Croce d’Aune, la salita dove Tullio Campagnolo capì che non si poteva girare la ruota per cambiare rapporto ma bisognava cambiare qualcosa, è una salita camaleonte. Se l’affronti nel medio, ti appare neanche troppo dura, diciamo affrontabile, ma se l’affronti nel lungo, con centoottanta chilometri nelle gambe e altre tre salite da venti chilometri già scalate, ti sembra quasi il Mortirolo. E gli ultimi tre chilometri, quelli che come un serpente si snodano nel paese di Aune con la sua Chiesetta che vedi già dai meno cinque e ti appare così lontana, non scendono quasi mai sotto il dodici percento. Arrivare in cima e tagliare l’arco del Gpm è una gioia intensa.
Poco più di dieci chilometri e la Granfondo sarà finita, anche se la discesa del Croce d’Aune, fatta da pochi lucidi, diventa fatica vera quanto la salita, con tutti i suoi tornanti da rilanciare.
Fatica vera è l’ultimo strappo in ciottolato che porta in Piazza Maggiore a Feltre. Ma è fatica fatta con il sorriso sulle labbra perché, in cima, vedi il traguardo e senti Mutton caricare chi sta arrivando poco prima di te.
Finire la Sportful con qualunque tempo ci si possa impiegare è un’impresa che va al di là dello Sport, è sacrificio, è passione, è perseveranza, è orgoglio.
Ed è soprattutto festa grande!
Tutte le foto le potete vedere qui:
20 giugno 2017
Sportful 2017. Il punto tecnico di Ramon Stefanelli
Guardando su Endu i dettagli delle classifiche di ieri, mi son saltate all'occhio un paio di cosine...
Steve Baccigotti: molto regolare, partito pianino ma stabile in classifica dal Manghen in poi.
Simone Della Rocca: è partito forte, per poi perdere qualcosina... ma piuttosto regolare.
GuidoTraditore Frigieri: 383° complessivo: sempre veloce, ha sofferto (o si è fermato molto) sul Rolle (680° in quel tratto, perdendo 64 posizioni).
Fabio Fornacciari: stabile e costante... fino alla salita a Croce d'Aune, dove ha perso circa 100 posizioni.
Ale Galluzzo: 25° (venticinquesimo) assoluto nel tratto Cima Campo/Castel Tesino, ai 55.5Km/h medi... ! Manghen fatto "pianino" (oltre il 550° posto, -52 posizioni), ma da lì costante.
Lorenzo Tognetti: Sul Rolle ha "aperto gas", recuperando 50 posizioni, facendo poi molto bene anche Croce d'Aune.
Enrico Pasini detto Potter il migliore: Cima Campo e Rolle veloci, più lento il tratto fino a inizio Manghen e l'ultima discesa, ma nel complesso abbastanza costante.
Luca Bufalo Scomazzon: Regolarissimo!
Io: partito (troppo) piano (intorno alla 1200° posizione dopo le prime 3 ore, all'inizio del Manghen) poi recuperate oltre 300 posizioni.
Qui i tempi delle tre salite cronometrate, Manghen, Rolle e Croce d'Aune, per chi ha fatto il lungo:
Ale: 1:36:38 1:14:23 0:47:39
Lorenzo: 1:35:12 1:11:41 0:44:47
Potter:1:37:51 1:13:08 0:47:13
Ramon: 1:42:48 1:22:11 0:48:09
Luca: 2:00:34 1:40:18 1:04:14
Steve: 1:58:39 1:34:44 0:57:51
Guido non ha il tempo di passaggio in cima al Manghen (avrà tagliato a metà salita tra le mucche per risparmiare un po' di minuti!), quindi c'è solo Rolle e Aune:
Guido: 1:19:45 0:46:23
Croce d'Aune per chi ha fatto il medio:
Fabio: 0:59:59
Simone: 0:54:06
Bravi a tutti ma il prossimo anno non ci sarà storia e arriverò davanti a tutti!
Ramon Stefanelli
13 giugno 2017
Granfondo Cooperatori, senza chip ammirando l'Appennino Reggiano
Era quasi freddo quando ho caricato Lorenz davanti a casa sua alle 6:15, era, invece, quasi caldo quando siamo partiti alle otto meno dieci, dalla Piazza di Albinea per la Granfondo Cooperatori ex Due Passi Matildica.
Niente chip quest’anno, niente griglia, solo cicloturistica, timbri il cartellino e parti. Anzi timbri il cartellino, parti, ti accorgi che il Garmin è spento, ti fermi, accendi, aspetti il segnale gps e riparti.
Tranquillità da cicloturistica, come la prima salita che come sempre ad Albinea comincia a 100 metri dalla partenza. Sei chilometri e mezzo indica il cartello, ma in realtà sono anche otto. Salita agile che l’anno scorso partendo davanti e soffrendola da subito non mi ero goduto. Una salita molto bella, che nonostante l’afa già presente apre a tutto all’Appennino, con a sinistra l’imponente Cimone e più dietro l’inconfondibile punta del Corno Alle Scale, dove è posta la Croce, Punta Sofia. Si sale e si attraversano i primi colli reggiani tagliandoli in due, passando da casolari, stalle e agriturismi da fare invidia al Chianti, come l’Agriturismo Cavazzone che solo a guardarlo ti viene appetito.
A me in realtà appetito non viene, ho passato una settimana di cene e cenette tutti i giorni fuori, conclusasi il sabato a mezzanotte e mezza ad uno splendido matrimonio sui colli bolognesi. Il vantaggio è che per tutta la Granfondo non ho bisogno di mangiare, ne ho da smaltire parecchio e bastano due ciucciotti e due pezzi di parmigiano-reggiano, andato giù più per golosità, che per bisogno per fare 140 chilometri anche abbastanza tirati.
Si perché non c’è chip ma con me c’è Lorenzo Tognetti, l’uomo che appena la strada si impenna accelera. Non sei un ciclista vero se non fai una granfondo da solo con un Lorenzo Tognetti.
La prima salita si limita, quasi si scalda, ma nella seconda non ha pietà. Che poi numerare le salite in questa Granfondo non è facile. Discese vere non ce ne sono, ci sono piccoli tratti intervallati da mangia bevi crudeli quanto belli. Al quindicesimo chilometro guardo il dislivello, è già a 500 metri.
La seconda salita porta sull’Appennino Reggiano a VillaMinozzo. Dico subito a Lorenz di andare e di aspettarmi in cima, lui mi ascolta e va, ma quando vedo che, nonostante tutto, la gamba gira da Dio e lui è lì a pochi metri da me, non lo mollo un attimo, se non a poche centinaia di metri dal paesino reggiano .
In cima il primo ristoro, non mangio ma bevo due bicchieri di coca-cola che mi aiutano a digerire la cena del mercoledì. La cena del giovedì ci pensa Lorenz a farmela digerire, perché prima della discesa vera parte a tutta su un falsopiano, facendomi vedere nero per non pochi chilometri.
Poi per fortuna il panorama si apre, si esce dai freschi boschi appenninici e si comincia la cottura al sole, ma soprattutto si ammira, da un belvedere, la Pietra di Bismantova svettare tra i monti in tutta la sua maestosità, la sua particolarità e la sua magia. Perché questo monte, chiamato da sempre la Pietra, citata da Dante nella Divina Commedia e la cui denominazione, Bismantova, non è in realtà chiara neanche ai giorni nostri, si dice sia veramente magica. E pedalare al cospetto della Pietra ti fa entrare appieno in questa magia, un’energia che pochi altri luoghi hanno al mondo.
A Castelnuovo de Monti è festa, ristoro megagalattico con tanto di ballerine e zumba ma soprattutto, panini, acqua, fanta, coca-cola, vino e soprattutto grana. Ci ristoriamo volentieri e ripartiamo e finalmente è vera discesa. Rimango davanti quasi quindici chilometri lungo le curve e i tornanti reggiani, passiamo un lungo fiume dove riesco a spingere bene e dove, nel fiume orde di bagnanti muovono la mia invidia mentre pedalo ai 45 orari sotto i 32 gradi di mezzogiorno.
Pedalo e faccio due conti, mancano ancora trenta chilometri e quasi 600 metri di dislivello. Manca sicuramente una salita, ed infatti dopo pochi chilometri ecco una svolta a destra e il cartello “inizio salita” indica 8 km. Io e Lorenz saliamo bene anche se il caldo ci schiaccia. Più saliamo più mi chiedo come possa essere lunga otto chilometri quando sembriamo già in cima. Infatti dopo quattro chilometri abbondanti ecco un ristoro ed un controllo. È provvidenziale per molti, l’acqua e le bibite sono belle fredde e riprendere in leggera discesa è un piacere. Piacere che dura poco perché infatti la strada ricomincia a salire e anche cattiva lungo una serpentina di tornanti che si snoda al sole come un rettile a scaldarsi dopo un lungo inverno. Serpentina che all’improvviso si addentra nel bosco e si impenna ancor di più verso un borgo fatto di case e stalle, situato proprio sul cucuzzolo della collina. E la discesa fa venire i brividi, solo a pensare a come possa essere farla in salita e personalmente mi mette nel primo tratto anche un po' di vertigini.
Finisce la discesa e inizia l’unico tratto di pianura di tutta la Granfondo. Mi metto davanti, approfittando delle mie attuali doti di passista, chiedo il cambio a Lorenz un paio di volte, ma esile e scalatore fatica un po' a mantenere la mia velocità. Alla nostra ruota una ragazza gentile che si scusa se non tira e quasi si arrabbia quando, ad ogni gruppetto ripreso, e durante la Granfondo sono stati tanti, tutti si accodano e nessuno tira.
Ma è sempre così, ormai l’esperienza è tanta e ci si è fatta l’abitudine e terminare Granfondo come questa è sempre comunque un piacere.
Pedalare in tranquillità, senza chip, ma sempre di buona lena. Dopo tanto agonismo ci voleva e forse ce ne vorrebbero di più.
Senza forse, ce ne vorranno di più come la Granfondo Cooperatori.