16 maggio 2017

Granfondo di Arezzo, bellissima!

Arezzo, Ultima Granfondo della Coppa Toscana, forse, anzi, senza forse, la più bella. Come paesaggi, come percorso e come salite.

Partiamo il Sabato pomeriggio per dormire tranquillamente e partire riposati, ma non sarà esattamente così.
L’appartamento prenotato da Lorenz è molto carino e confortevole, non manca nulla.
Non manca nemmeno la ferrovia che passa sotto le finestre della camera da letto. Dormire non è semplice, ogni tanto ci si sveglia scossi dal tremore dei treni sfreccianti sulle rotaie, ma comunque si sta a letto quasi otto ore. Quasi otto ore perché la sveglia è puntata alle 6:45, ma Guido si sveglia alle 5:45 e comincia a preparare la colazione. Alle 6:15 siamo già tutti e tre davanti al caffè e ai cereali, con Guido che parla in pigiama indossando il casco. 
Le maglie cambiano ma le amicizie restano. E quando abbiamo venduto Guido al BikeStudio a titolo gratuito, (un vero affare visto che in teoria per darlo via avremmo dovuto pagare), gli accordi con il maestro Nicoletti erano chiari; corre con il BikeStudio ma da badanti lo fanno ancora quelli del ClubMalini.

Forse conveniva pagare il BikeStudio per prenderselo, ma è andata così.

La partenza di fianco al Duomo è emozione pura. Al contrario di Firenze, qui ad Arezzo tutte le griglie sono al suo cospetto. Meno partenti è vero, ma un bellissimo viale lungo e in salita, in grado di accogliere tutti in partenza e pronto a dare il bentornato all’arrivo. 
Parto in prima griglia insieme al maestro Nicoletti ma faccio in fretta a farmi sfilare, il nervosismo è tanto, troppo e leggermente più indietro si riesce a rimanere più rilassati e a prendere meno rischi. 

La prima salita è poco più di uno strappetto ma la seconda è quasi venti chilometri, 18,5 per l’esattezza. È intervallata da un paio di chilometri di leggera discesa, ma alla fine arriva a più di 1000 metri d’altezza sul valico dello Spino, attraversando paesini incantevoli e boschi scaldati dal primo vero sole di Primavera. Arrivo in cima da solo, davanti a me il gruppetto di Lorenzo, calcolo ad occhio che ci separano meno di 30 secondi, ho il dubbio di scattare e andarci sotto, ma visto che mancano ancora cento chilometri desisto.

Errore che sarà fatale.

Rivedo il gruppetto in fondo alla discesa, i secondi tra me e loro sono sempre una trentina e continuo ad essere solo. Riprenderli lungo i saliscendi attorno al lago è impossibile. Aspetto il gruppo dietro e mi aggrego a loro.

Mi fermo ad un ristoro poco prima della salita del valico della Scheggia e riparto subito. In due andiamo all’inseguimento del gruppetto che avevamo lasciato e dopo un paio di km dall’inizio della salita lo riprendiamo. Proprio poco prima che la strada cominci a tirare in modo importante. E lì scoppio. Non un boato, ma comunque scoppio. Perdo di nuovo il gruppetto, mi avvilisco un poco, ma in cima mi cuccio una maltodestrina e mi butto in discesa. Li recupero fortunatamente in breve tempo e mi riposo un po', rimanendo a ruota. Manca l’ultima salita, la più dura, la più spettacolare.

L’Alpe di Potì 8,5 chilometri totali, con sei km di sterrato. Parte subito dura, già in asfalto, ma all’uscita da una curva, all’improvviso, diventa sterrata e tira ancora di più. Tira dritta, al 14%, con ghiaia grossa e fitta. Alzarsi sui pedali è impossibile, anche superare è difficile perché bisogna uscire dalla via pulita e le vibrazioni diventano ancora più fastidiose. È solo un chilometro forse qualcosa di più ma sembra infinito. Saliamo in fila indiana, la velocità è al limite della leggibilità del Garmin. Un paio di agili scalatori mi supera mulinando rapporti da Mulinex. Poi dopo una esse la pendenza si alleggerisce e la ghiaia si fa più fine e più rada. Prendo dalla tasca una boccettina di guaranà fornitami da Lorenzo. Neanche il tempo di aprirla e scendono due denti nel rocchetto posteriore e le gambe cominciano a spingere come non erano riuscite tutta la giornata. La strada sale dolce, per un piccolo tratto scende anche, poi negli ultimi due chilometri sale a strappi, anche cattivi con l’ultimo dritto che accompagna al ritorno all’asfalto. Mi fermo al ristoro e bevo acqua come se fossi stato nel deserto tre giorni, mi volto e vedo Arezzo in fondo alla vallata con il Duomo a dominare la città, mentre dallo sterrato continuano a salire granfondisti provati. Penso di fare una foto ma lo penso mentre sto già scendendo verso la citta.

Un’occasione persa, o forse, meglio, un’occasione per ritornare ad affrontare questa stupenda salita.

Discesa prima tecnica, ma molto ben segnalata, poi larga e velocissima. In città l’unico rimprovero da fare all’organizzazione, la mancanza di personale agli incroci e anche poche frecce che portano verso il Duomo. Ma nonostante questo arrivo sul lastricato verso il Duomo e trovo le energie per scattare e staccare i miei compagni di discesa.

Lorenz e Guido sono poco dopo la linea d’arrivo ad aspettarmi. Non sono arrivati da molto, e la cosa mi rincuora, nonostante non abbia passato una giornata grandiosa a livello fisico, non ho perso la solita mezzora degli anni scorsi.

Finita la Coppa Toscana ora aspettiamo le classifiche. Non porteranno al podio, forse neanche nei primi dieci ma sicuramente hanno portato a conoscere posti stupendi, pedalando su salite nuove in un pezzo d’Italia che tutto il mondo ci invidia, tra mare, colline e arcigne montagne.  

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