22 giugno 2017

Pedalata Ceretolo Monte Capra

Club Bici Malini
Martedì 4 Luglio
Organizza Pedalata:
Ceretolo Monte Capra

Una sfida!
Una prova gogliardica!
Una serata tra amici!
Un "tempo" da mostrare agli amici!
Poter dire io c'ero!
Dimostra di che pasta sei fatto!


Ritrovo ore 19,45, presso incrocio Via Tizzano e Via Galluzzo 
(Per chi viene in auto, conviene lasciarla a monte)
Consegna Tabella  di partenza.
Ore 20,00 circa, partenza primo partecipante.
A seguire gli altri ogni minuto
Arrivo  in cima a Monte Capra, circa 4,600 metri, e circa 425 metri di dislivello.
Possono partecipare tutti coloro che vogliono divertirsi.
Si possono usare tutti i tipi di biciclette:Corsa, MTB, Gravel, City, Passeggio (NO E-BIKE)
ATTENZIONE A grande richiesta si apre anche alla E-Bike!!
Presso l'arrivo, per chi interessato, si cenerà al Ristorante Monte Capra.
I tempi verranno calcolati durante la cena, poi pubblicati su questo Blog, Facebook, e inviati via mail.

E' una pedalata tra amici, e si terrà su una strada comunale aperta al traffico, quindi vige il regolamento stradale

Si declina ogni responsabilità per eventuali incidenti di qualunque natura dovessero verificarsi prima, durante e dopo la pedalata.


Per motivi organizzativi, la pedalata  si effettuerà con un minimo di 15 partecipanti.
Comunicare la propria presenza, con un messaggio al 339-388 5920 entro e non oltre Venerdì 30 Giugno. Comunicare anche se presenti alla Cena.
La pedalata è aperta a tutti i Tesserati del Club e ai Clienti Cicli Malini.


21 giugno 2017

Sportful 2017, due giorni sempre meravigliosi

Aver convinto il Maestro Nicoletti a bere una birra alla vigilia dei 205 chilometri della Granfondo Sportful è già stata una mezza impresa. E mentre noi ci spazzoliamo spatzle, wusterl, salsiccia, fagioli, crauti e prosciutto di Praga, lui si mangia un’insalatina e un piatto immenso di bresaola. Il Maestro è il maestro e non sbaglia un colpo, noi andiamo di gola e di fegato perché alla birra Centenario della Fabbrica di Pedavena non possiamo rinunciare.

Si ritirano i pacchi e si visita la Fiera del Palaghiaccio, poi si va a Belluno, a Sossai di Castion, nella bella e grande casa dell’Inossidabile Magnani. Un po' di relax dopo aver sistemato le biciclette per il giorno dopo, qualche cavolata qua e là e si mangia.

Un chilo di spaghetti più o meno a testa per fare il giusto carico di carboidrati, come se il pranzo in birreria non fosse bastato, mezza bresaola a testa accompagnata da qualche fetta di prosciutto e si fa fatica ad alzarsi da tavola. Servono due passi per smaltire e allora usciamo da casa Magnani e ci incamminiamo sul versato sterrato che porta al Nevegal, rigorosamente tutti in infradito.

Un chilometrino in salita verso la Chiesina di San Gaetano e un chilometrino in discesa per tornare a casa. Chilometrini che servono sicuramente per smaltire, ma che le gambe ricorderanno con gioia e delizia sulla prima salita il giorno dopo in gara.

Perché il giorno dopo sarà salita, tanta salita, sarà sofferenza, dolce e stupenda sofferta tra le guglie dolomitiche. A letto subito allora con ancora il cielo azzurro e il sole che si è appena nascosto dietro le dolomiti bellunesi. La sveglia suonerà che il sole sarà ancora a letto, e poi saranno duecento chilometri di pura passione.

La sveglia suona che la Luna è ancora alta nel cielo, facciamo colazione controvoglia e un caffè non basta a toglierci quella domanda dalla testa che ogni volta a quest’ora della notte, o della mattina se si preferisce, ci rimbomba in testa: “Perché? Chi ce lo fa fare?”. Bagno, veloci abluzioni per tutti e si sale in macchina. Come un vecchio Ds Maurizio da gli ultimi consigli al proprio corridore, anche se proprio non è, perché Guido corre per un’altra squadra.

Si entra in griglia che mancano venti minuti alla partenza come sempre l’atmosfera è carica di energia, musica a palla e lo storico speaker Paolo Mutton carica i quasi 5000 corridori pronti ad arrampicarsi sulle dure salite alpine.

Venti chilometri di pianura alla prima salita, chi la fa piano, chi la fa forte, chi la fa a ruota di quelli che vanno forte, come Guido incollato alle ruote mie e di Scomazzon.
Cima Campo è la prima salita, diciannove chilometri che partono gentili, poi si incattiviscono con alcune impennate dentro al primo paese che si attraversa e che tornano gentili dopo Col Perer, con qualche strappata verso la cima, dove la strada taglia in due la cresta e la vista apre alle Dolomiti Trentine e Bellunesi. Una salita che fatta in altra giornata sarebbe bellissima, ma che affrontata insieme ad altre 5000 persone non si riesce a gustare appieno, tra chi chiama a destra, chi a sinistra e chi già comincia pericolosamente a zigzagare.

La discesa verso Castel Tesino è veloce quanto indigesta, almeno per me. In fondo, subito dopo il paese c’è il bivio. Lungo dritto medio a destra. Fabio e Simone decidono che i 130 km con 3000 metri di dislivello del medio possono bastare, tutti gli altri tirano dritto, compreso inaspettatamente il grande Bufalo Scomazzon, che non resiste al richiamo delle amate montagne e soffrirà sulle arcigne pendenze del Manghen.

Il Manghen, 2000 metri d’altezza che partono da Telve subito con drittoni che ti danno il benvenuto in Trentino. Poi una volta preso il Passo vero e proprio la strada si restringe e si addolcisce, fino al settimo chilometro, quando all’improvviso cominci a vedere meglio l’azzurro spettacolare del cielo e sentirti nel contempo più pesante. Un solo chilometro duro, poi si torna alla normalità della pendenza media costante al 7%. Alle porte dell’unico paesino che si incontra, Calamento si torna a decollare verso la cima, con tratti a doppia cifra. Fin dopo il ristoro, quando la salita diventa quasi falsopiano e illude di un sospirato riposo che invece è solo la quiete prima della tempesta. Perché ai meno sei la strada si inclina al nove per cento e rimane così fino all’ultimo metro. Guardi verso l’alto e vedi il serpentone di ciclisti ingobbiti scalare questa fantastica montagna e lassù li vedi sparire all’improvviso dietro a dei massi. Chi l’ha già fatta sa che dietro a quei sassi c’è il Passo Manghen, il tanto agognato gpm, c’è il ristoro poco più sotto e ci sono venti chilometri di discesa verso Molina di Fiemme. Chi non l’ha mai fatta, impara presto quanto quei massi siano riferimento e nello stesso tempo dannazione, perché più ti avvicini più ti sembrano lontani.

Da Molina di Fiemme a Predazzo è il tratto più lungo senza salite escluso l’inizio. Trovare un gruppetto dove riposarsi per portarsi all’attacco del Rolle in relativa tranquillità è fondamentale. Ma se il gruppetto che si trova è indemoniato allora forse è meglio fare tutto il pezzo da soli, del proprio passo, senza tirarsi il collo. Io ho fatto così e la scelta è stata azzeccata. Perché sul Rolle già nei tornanti prima di Bellamonte il gruppetto era esploso e senza esagerare li avevo già ripresi tutti. Il Rolle non è una salita difficile, ma è lunga, calda e infinita anche lei. La fontana di Bellamonte è presa d’assalto da molti che ci si buttano dentro per rinfrescarsi dopo quattro chilometri tutti al sole. Usciti da Bellamonte la strada spiana, sale piano al due percento e per un paio di chilometri, quando costeggia il lago di Paneveggio scende anche. Per chi ha potenza questo è il momento di spingere e fare la differenza, ma senza esagerare. Io Tengo il trentanove e spingo forte sui pedali senza però andare a tutta e il risultato è eccezionale, perché sono tanti quelli che riprendo e che poi ai meno cinque, quando la strada riprende a salire seriamente fino in cima si staccano dalla mia ruota. Ai quasi duemila metri del Passo le pale di San Martino brillano al sole. Là dove l’anno scorso avevo trovato una giornata da tre gradi e pioggia, facendomi soffrire pene che mai avevo patito, ora il termometro è sopra i venti gradi e buttarsi in discesa è un piacere desiderato quanto sudato.

Anche se poi la discesa non è così agevole, perché in quella valle il vento tira sempre forte e contrario al pomeriggio e oggi lo si sente addirittura già dal Passo. Arrivare all’imbocco dell’ultima salita, il Croce d’Aune, sono quasi cinquanta chilometri e normalmente scendere dal Rolle passando da San Martino di Castrozza, Imer e Fiera di Primero è puro divertimento. Ma tra il vento e il traffico contrario da poco riaperto non ci si riesce a divertire tanto e soprattutto non ci si riesce a rilassare, arrivando agli ultimi dodici chilometri di salita che quasi li preferisci alla discesa.

Il Croce d’Aune, la salita dove Tullio Campagnolo capì che non si poteva girare la ruota per cambiare rapporto ma bisognava cambiare qualcosa, è una salita camaleonte. Se l’affronti nel medio, ti appare neanche troppo dura, diciamo affrontabile, ma se l’affronti nel lungo, con centoottanta chilometri nelle gambe e altre tre salite da venti chilometri già scalate, ti sembra quasi il Mortirolo. E gli ultimi tre chilometri, quelli che come un serpente si snodano nel paese di Aune con la sua Chiesetta che vedi già dai meno cinque e ti appare così lontana, non scendono quasi mai sotto il dodici percento. Arrivare in cima e tagliare l’arco del Gpm è una gioia intensa.

Poco più di dieci chilometri e la Granfondo sarà finita, anche se la discesa del Croce d’Aune, fatta da pochi lucidi, diventa fatica vera quanto la salita, con tutti i suoi tornanti da rilanciare.

Fatica vera è l’ultimo strappo in ciottolato che porta in Piazza Maggiore a Feltre. Ma è fatica fatta con il sorriso sulle labbra perché, in cima, vedi il traguardo e senti Mutton caricare chi sta arrivando poco prima di te.

Finire la Sportful con qualunque tempo ci si possa impiegare è un’impresa che va al di là dello Sport, è sacrificio, è passione, è perseveranza, è orgoglio.

Ed è soprattutto festa grande! 

Tutte le foto le potete vedere qui:

Foto Sportful

20 giugno 2017

Sportful 2017. Il punto tecnico di Ramon Stefanelli

Guardando su Endu i dettagli delle classifiche di ieri, mi son saltate all'occhio un paio di cosine...

Steve Baccigotti: molto regolare, partito pianino ma stabile in classifica dal Manghen in poi.

Simone Della Rocca: è partito forte, per poi perdere qualcosina... ma piuttosto regolare.

GuidoTraditore Frigieri: 383° complessivo: sempre veloce, ha sofferto (o si è fermato molto) sul Rolle (680° in quel tratto, perdendo 64 posizioni).

Fabio Fornacciari: stabile e costante... fino alla salita a Croce d'Aune, dove ha perso circa 100 posizioni.
Ale Galluzzo: 25° (venticinquesimo) assoluto nel tratto Cima Campo/Castel Tesino, ai 55.5Km/h medi... ! Manghen fatto "pianino" (oltre il 550° posto, -52 posizioni), ma da lì costante.

Lorenzo Tognetti: Sul Rolle ha "aperto gas", recuperando 50 posizioni, facendo poi molto bene anche Croce d'Aune.

Enrico Pasini detto Potter il migliore: Cima Campo e Rolle veloci, più lento il tratto fino a inizio Manghen e l'ultima discesa, ma nel complesso abbastanza costante.
Luca Bufalo Scomazzon: Regolarissimo!
Io: partito (troppo) piano (intorno alla 1200° posizione dopo le prime 3 ore, all'inizio del Manghen) poi recuperate oltre 300 posizioni.

Qui i tempi delle tre salite cronometrate, Manghen, Rolle e Croce d'Aune, per chi ha fatto il lungo:

Ale: 1:36:38 1:14:23 0:47:39

Lorenzo: 1:35:12 1:11:41 0:44:47

Potter:1:37:51 1:13:08 0:47:13

Ramon: 1:42:48 1:22:11 0:48:09

Luca: 2:00:34 1:40:18 1:04:14

Steve: 1:58:39 1:34:44 0:57:51

Guido non ha il tempo di passaggio in cima al Manghen (avrà tagliato a metà salita tra le mucche per risparmiare un po' di minuti!), quindi c'è solo Rolle e Aune:
Guido: 1:19:45 0:46:23

Croce d'Aune per chi ha fatto il medio:
Fabio: 0:59:59
Simone: 0:54:06

Bravi a tutti ma il prossimo anno non ci sarà storia e arriverò davanti a tutti!
Ramon Stefanelli

13 giugno 2017

Granfondo Cooperatori, senza chip ammirando l'Appennino Reggiano

Era quasi freddo quando ho caricato Lorenz davanti a casa sua alle 6:15, era, invece, quasi caldo quando siamo partiti alle otto meno dieci, dalla Piazza di Albinea per la Granfondo Cooperatori ex Due Passi Matildica.

Niente chip quest’anno, niente griglia, solo cicloturistica, timbri il cartellino e parti. Anzi timbri il cartellino, parti, ti accorgi che il Garmin è spento, ti fermi, accendi, aspetti il segnale gps e riparti.

Tranquillità da cicloturistica, come la prima salita che come sempre ad Albinea comincia a 100 metri dalla partenza. Sei chilometri e mezzo indica il cartello, ma in realtà sono anche otto. Salita agile che l’anno scorso partendo davanti e soffrendola da subito non mi ero goduto. Una salita molto bella, che nonostante l’afa già presente apre a tutto all’Appennino, con a sinistra l’imponente Cimone e più dietro l’inconfondibile punta del Corno Alle Scale, dove è posta la Croce, Punta Sofia. Si sale e si attraversano i primi colli reggiani tagliandoli in due, passando da casolari, stalle e agriturismi da fare invidia al Chianti, come l’Agriturismo Cavazzone che solo a guardarlo ti viene appetito.

A me in realtà appetito non viene, ho passato una settimana di cene e cenette tutti i giorni fuori, conclusasi il sabato a mezzanotte e mezza ad uno splendido matrimonio sui colli bolognesi. Il vantaggio è che per tutta la Granfondo non ho bisogno di mangiare, ne ho da smaltire parecchio e bastano due ciucciotti e due pezzi di parmigiano-reggiano, andato giù più per golosità, che per  bisogno per fare 140 chilometri anche abbastanza tirati.

Si perché non c’è chip ma con me c’è Lorenzo Tognetti, l’uomo che appena la strada si impenna accelera. Non sei un ciclista vero se non fai una granfondo da solo con un Lorenzo Tognetti.
La prima salita si limita, quasi si scalda, ma nella seconda non ha pietà. Che poi numerare le salite in questa Granfondo non è facile. Discese vere non ce ne sono, ci sono piccoli tratti intervallati da mangia bevi crudeli quanto belli. Al quindicesimo chilometro guardo il dislivello, è già a 500 metri.

La seconda salita porta sull’Appennino Reggiano a VillaMinozzo. Dico subito a Lorenz di andare e di aspettarmi in cima, lui mi ascolta e va, ma quando vedo che, nonostante tutto, la gamba gira da Dio e lui è lì a pochi metri da me, non lo mollo un attimo, se non a poche centinaia di metri dal paesino reggiano .

In cima il primo ristoro, non mangio ma bevo due bicchieri di coca-cola che mi aiutano a digerire la cena del mercoledì. La cena del giovedì ci pensa Lorenz a farmela digerire, perché prima della discesa vera parte a tutta su un falsopiano, facendomi vedere nero per non pochi chilometri.

Poi per fortuna il panorama si apre, si esce dai freschi boschi appenninici e si comincia la cottura al sole, ma soprattutto si ammira, da un belvedere, la Pietra di Bismantova svettare tra i monti in tutta la sua maestosità, la sua particolarità e la sua magia. Perché questo monte, chiamato da sempre la Pietra, citata da Dante nella Divina Commedia e la cui denominazione, Bismantova, non è in realtà chiara neanche ai giorni nostri, si dice sia veramente magica. E pedalare al cospetto della Pietra ti fa entrare appieno in questa magia, un’energia che pochi altri luoghi hanno al mondo. 

A Castelnuovo de Monti è festa, ristoro megagalattico con tanto di ballerine e zumba ma soprattutto, panini, acqua, fanta, coca-cola, vino e soprattutto grana. Ci ristoriamo volentieri e ripartiamo e finalmente è vera discesa. Rimango davanti quasi quindici chilometri lungo le curve e i tornanti reggiani, passiamo un  lungo fiume dove riesco a spingere bene e dove, nel fiume orde di bagnanti muovono la mia invidia mentre pedalo ai 45 orari sotto i 32 gradi di mezzogiorno.

Pedalo e faccio due conti, mancano ancora trenta chilometri e quasi 600 metri di dislivello. Manca sicuramente una salita, ed infatti dopo pochi chilometri ecco una svolta a destra e il cartello “inizio salita” indica 8 km. Io e Lorenz saliamo bene anche se il caldo ci schiaccia. Più saliamo più mi chiedo come possa essere lunga otto chilometri quando sembriamo già in cima. Infatti dopo quattro chilometri abbondanti ecco un ristoro ed un controllo. È provvidenziale per molti, l’acqua e le bibite sono belle fredde e riprendere in leggera discesa è un piacere. Piacere che dura poco perché infatti la strada ricomincia a salire e anche cattiva lungo una serpentina di tornanti che si snoda al sole come un rettile a scaldarsi dopo un lungo inverno. Serpentina che all’improvviso si addentra nel bosco e si impenna ancor di più verso un borgo fatto di case e stalle, situato proprio sul cucuzzolo della collina. E la discesa fa venire i brividi, solo a pensare a come possa essere farla in salita e personalmente mi mette nel primo tratto anche un po' di vertigini.

Finisce la discesa e inizia l’unico tratto di pianura di tutta la Granfondo. Mi metto davanti, approfittando delle mie attuali doti di passista, chiedo il cambio a Lorenz un paio di volte, ma esile e scalatore fatica un po' a mantenere la mia velocità. Alla nostra ruota una ragazza gentile che si scusa se non tira e quasi si arrabbia quando, ad ogni gruppetto ripreso, e durante la Granfondo sono stati tanti, tutti si accodano e nessuno tira.

Ma è sempre così, ormai l’esperienza è tanta e ci si è fatta l’abitudine e terminare Granfondo come questa è sempre comunque un piacere.

Pedalare in tranquillità, senza chip, ma sempre di buona lena. Dopo tanto agonismo ci voleva e forse ce ne vorrebbero di più.

Senza forse, ce ne vorranno di più come la Granfondo Cooperatori.

21 maggio 2017

Lungo Tosco-Emiliano.

Tante Granfondo, posti nuovi visitati in una regione tra le più belle, sicuramente una delle più vendute e  pedalate, e tanta buona e salutare fatica sui pedali accumulata. Eppure manca qualcosa a questo 2017, cosa?

I giri in tranquillità con gli amici, quelli dove non hai chip, non hai gruppi da inseguire o da cui scappare.

Ti trovi al solito bar, ad un orario che neanche durante la settimana lavorativa vedi sull’orologio, ma ci sono da macinare chilometri e allora meglio partire prima che arrivare dopo.

L’aria è fresca, le previsioni hanno fatto terrorismo tutta la settimana ma poi si sono assestate sul variabile senza pioggia. Nuvole ce ne sono in giro, di tutti i tipi, di tutte le forme, ma isolate e splendidamente bianche. In lontananza si fanno più grigie, ma pensi che non arriveranno e ti fidi delle previsioni.

Un po' di azzurro verso sud si vede, noi dobbiamo andare verso sud, il vento immancabilmente contro ci da speranza, le previsioni non sbagliano, al meteo non ci pensiamo più.

Salire a Montefredente è sempre bellissimo, immerso nei campi prima e nei boschi di quercia poi, si respira tranquillità vera, alla fontana riempiamo le borracce e scendiamo verso Pian Del Voglio.

Siamo in Appennino, tra l’Emilia e la Toscana, ma a salire sulla Futa da Pian del Voglio ci sembra di essere sulle Alpi. Pascoli verdi, cavalli e mucche che li popolano, boschi incontaminati e la strada che sale, non cattiva ma costante fino su al Passo dove ci fermiamo e ci vestiamo.

La discesa è lunga, anche se noi a metà svoltiamo a sinistra, affrontando la salita della sorgente e dello stabilimento dell’Acqua Panna. Poco più di un chilometro, che però fa male, dopo aver raffreddato le gambe durante i tornanti in discesa del Passo della Futa. Ma lo affrontiamo lo stesso con piglio allegro e ci ributtiamo in discesa verso Barberino.

Poca pianura in questo giro ma tutta concentrata in questo pezzo di Toscana dove rombano i motori. Ci dirigiamo verso l’autodromo del Mugello, ma senza mai arrivarci, aggiriamo Scarperia da un lungo viale che piano piano sale, annunciandoci l’inizio della salita protagonista di giornata, il Passo Giogo.

Questa ascesa l’abbiamo conosciuta qualche anno fa alla Granfondo di Firenze e subito ce ne siamo innamorati. L’abbiamo affrontata per l’ultima volta il mese scorso, proprio durante la gara fiorentina, in una giornata con un cielo minaccioso e undici gradi costanti per tutto il percorso.
Mentre iniziamo la salita Lorenz fa notare come cambino aspetto le stesse strade fatte in tranquillità, rispetto che in gara. Gli do ragione anche se il mio cuore non vede molte differenze. È quasi a tutta mentre pedala a ruota di Lorenzo. Il primo pezzo lo faccio con lui, poi a Ponzalla la pendenza si fa più cattiva e le fatiche della settimana lavorativa si ripercuotono tutte sulle gambe. Continuo a salire agile e lascio andare Lorenz qualche centinaia di metri. Poi la strada spiana leggermente e recupero, gli arrivo quasi a ruota quando passiamo di fianco all’Antica Osteria da Nandone Omomorto, che sta mettendo in linea la cucina per il pranzo, facendo uscire in strada odori invitanti. Vorrei fare una foto ma non ho la giusta lucidità per tirare fuori il cellulare e a La Maestà, quando la strada si fa di nuovo cattiva, saluto definitivamente Lorenz, anche se lungo gli ultimi tornanti che portano al Passo mi rimane sempre in vista.

In Cima aspettiamo GianLuca che arriva con qualche minuto di ritardo, affamato ma comunque fresco. Affamati lo siamo tutti e tre, appoggiamo le bici ai tavolini del ristorante e ci buttiamo dentro. Tre Panini Crudo e Fontina e la fame è saziata, anche se in realtà questi panini hanno un problema. Invitano a prenderne un altro, ed un altro ancora, ed un altro ancora.

Ma per quanto si stia bene seduti al sole dei 900 metri d’altezza del Giogo, con una coca e un panino in mano, bisogna cominciare a tornare verso Bologna e la strada, nonostante il Garmin segni già 100 km, è ancora tanta.

Discesa lunga e veloce verso Fiorenzuola, che attraversiamo con tranquillità pronti a salire a La Casetta e verso il Passo della Raticosa. Sei chilometri che portano dai 400 metri di Fiorenzuola ai quasi 900 della statale del Passo della Futa. La salita va su a gradoni, gradoni alti e pendenti che fanno smaltire il panino crudo e fontina e che ne richiederebbero un altro al rifugio sulla Raticosa. Ma non ci fermiamo, perché dopo il sole preso dalla parte Toscana, il meteo dalla parte Emiliana minaccia pioggia.

Un nuvolone nero circonda Monghidoro e altri stanno correndo veloci sul vento a rafforzare questa minaccia, che in discesa, verso il Fondovalle Savena, ci sembra ormai prossima.

Arriviamo all’imbocco della salita per Monzuno con la stanchezza che comincia a farsi sentire, ma incredibilmente asciutti, quando ad uno dei primi tornanti, un tuono risveglia le nostre forze.

Verso Monghidoro è completamente nero, noi siamo sul limite del temporale, ogni tanto arrivano di vento gocce nebulizzate che ci solleticano la faccia. Saliamo veloci, per quanto ormai le forze lo consentano e ci ributtiamo in discesa verso Vado. Allontaniamo il temporale, che rimane sul Savena e ci godiamo il sole in fondovalle del Setta. Ci restano trenta chilometri per arrivare a casa, naturalmente di vento contro, ma un vento che dobbiamo ringraziare, perché ci ha salvato da acquazzoni che ci avrebbero ridotto in salamoia.

Finiamo il giro contenti anche se abbastanza cotti. Abbiamo fatto una scappata in Toscana che ci è valsa 180 km e 3000 metri di dislivello. Un bel giro in compagnia e tranquillità, pedalando senza assilli ma con buona lena.

Uno di quei giri che una volta finiti, lo rifaresti subito, o quasi subito!     
  

16 maggio 2017

Granfondo di Arezzo, bellissima!

Arezzo, Ultima Granfondo della Coppa Toscana, forse, anzi, senza forse, la più bella. Come paesaggi, come percorso e come salite.

Partiamo il Sabato pomeriggio per dormire tranquillamente e partire riposati, ma non sarà esattamente così.
L’appartamento prenotato da Lorenz è molto carino e confortevole, non manca nulla.
Non manca nemmeno la ferrovia che passa sotto le finestre della camera da letto. Dormire non è semplice, ogni tanto ci si sveglia scossi dal tremore dei treni sfreccianti sulle rotaie, ma comunque si sta a letto quasi otto ore. Quasi otto ore perché la sveglia è puntata alle 6:45, ma Guido si sveglia alle 5:45 e comincia a preparare la colazione. Alle 6:15 siamo già tutti e tre davanti al caffè e ai cereali, con Guido che parla in pigiama indossando il casco. 
Le maglie cambiano ma le amicizie restano. E quando abbiamo venduto Guido al BikeStudio a titolo gratuito, (un vero affare visto che in teoria per darlo via avremmo dovuto pagare), gli accordi con il maestro Nicoletti erano chiari; corre con il BikeStudio ma da badanti lo fanno ancora quelli del ClubMalini.

Forse conveniva pagare il BikeStudio per prenderselo, ma è andata così.

La partenza di fianco al Duomo è emozione pura. Al contrario di Firenze, qui ad Arezzo tutte le griglie sono al suo cospetto. Meno partenti è vero, ma un bellissimo viale lungo e in salita, in grado di accogliere tutti in partenza e pronto a dare il bentornato all’arrivo. 
Parto in prima griglia insieme al maestro Nicoletti ma faccio in fretta a farmi sfilare, il nervosismo è tanto, troppo e leggermente più indietro si riesce a rimanere più rilassati e a prendere meno rischi. 

La prima salita è poco più di uno strappetto ma la seconda è quasi venti chilometri, 18,5 per l’esattezza. È intervallata da un paio di chilometri di leggera discesa, ma alla fine arriva a più di 1000 metri d’altezza sul valico dello Spino, attraversando paesini incantevoli e boschi scaldati dal primo vero sole di Primavera. Arrivo in cima da solo, davanti a me il gruppetto di Lorenzo, calcolo ad occhio che ci separano meno di 30 secondi, ho il dubbio di scattare e andarci sotto, ma visto che mancano ancora cento chilometri desisto.

Errore che sarà fatale.

Rivedo il gruppetto in fondo alla discesa, i secondi tra me e loro sono sempre una trentina e continuo ad essere solo. Riprenderli lungo i saliscendi attorno al lago è impossibile. Aspetto il gruppo dietro e mi aggrego a loro.

Mi fermo ad un ristoro poco prima della salita del valico della Scheggia e riparto subito. In due andiamo all’inseguimento del gruppetto che avevamo lasciato e dopo un paio di km dall’inizio della salita lo riprendiamo. Proprio poco prima che la strada cominci a tirare in modo importante. E lì scoppio. Non un boato, ma comunque scoppio. Perdo di nuovo il gruppetto, mi avvilisco un poco, ma in cima mi cuccio una maltodestrina e mi butto in discesa. Li recupero fortunatamente in breve tempo e mi riposo un po', rimanendo a ruota. Manca l’ultima salita, la più dura, la più spettacolare.

L’Alpe di Potì 8,5 chilometri totali, con sei km di sterrato. Parte subito dura, già in asfalto, ma all’uscita da una curva, all’improvviso, diventa sterrata e tira ancora di più. Tira dritta, al 14%, con ghiaia grossa e fitta. Alzarsi sui pedali è impossibile, anche superare è difficile perché bisogna uscire dalla via pulita e le vibrazioni diventano ancora più fastidiose. È solo un chilometro forse qualcosa di più ma sembra infinito. Saliamo in fila indiana, la velocità è al limite della leggibilità del Garmin. Un paio di agili scalatori mi supera mulinando rapporti da Mulinex. Poi dopo una esse la pendenza si alleggerisce e la ghiaia si fa più fine e più rada. Prendo dalla tasca una boccettina di guaranà fornitami da Lorenzo. Neanche il tempo di aprirla e scendono due denti nel rocchetto posteriore e le gambe cominciano a spingere come non erano riuscite tutta la giornata. La strada sale dolce, per un piccolo tratto scende anche, poi negli ultimi due chilometri sale a strappi, anche cattivi con l’ultimo dritto che accompagna al ritorno all’asfalto. Mi fermo al ristoro e bevo acqua come se fossi stato nel deserto tre giorni, mi volto e vedo Arezzo in fondo alla vallata con il Duomo a dominare la città, mentre dallo sterrato continuano a salire granfondisti provati. Penso di fare una foto ma lo penso mentre sto già scendendo verso la citta.

Un’occasione persa, o forse, meglio, un’occasione per ritornare ad affrontare questa stupenda salita.

Discesa prima tecnica, ma molto ben segnalata, poi larga e velocissima. In città l’unico rimprovero da fare all’organizzazione, la mancanza di personale agli incroci e anche poche frecce che portano verso il Duomo. Ma nonostante questo arrivo sul lastricato verso il Duomo e trovo le energie per scattare e staccare i miei compagni di discesa.

Lorenz e Guido sono poco dopo la linea d’arrivo ad aspettarmi. Non sono arrivati da molto, e la cosa mi rincuora, nonostante non abbia passato una giornata grandiosa a livello fisico, non ho perso la solita mezzora degli anni scorsi.

Finita la Coppa Toscana ora aspettiamo le classifiche. Non porteranno al podio, forse neanche nei primi dieci ma sicuramente hanno portato a conoscere posti stupendi, pedalando su salite nuove in un pezzo d’Italia che tutto il mondo ci invidia, tra mare, colline e arcigne montagne.  

15 maggio 2017

Castelli Dimenticati, Strade e Conquiste a Zappolino

Una pedalata nella Storia



Difficile immaginare che tra le le colline di Zappolino, nel medioevo, vi era un Castello a difesa della città, e oltre quarantamila uomini, tra fanti, cavalieri, si scontarono in una battaglia campale, ne perirono oltre duemila. 
La Battaglia di Zappolino, passata poi alla storia come "La battaglia della Secchia Rapita". Lo scontro vide il 15 Novembre 1325, Bolognesi guelfi e i Modenesi ghibellini,  scontrarsi in questi luoghi.
I ghibellini, infissero una sonora sconfitta ai bolognesi, che colti di sorpresa, si diedero alla fuga arrivando fino in città, dove entrarono da porta San Felice. 
Gli inseguitori, arrivarono a Bologna distruggendo tutto ciò che trovavano sulla loro strada, tra cui la Chiusa di Casalecchio di Reno, arrivati fuori dalle mura, cominciarono a schernire i nemici festeggiando alla vittoria. 
Si ritirarono da vincitori, dopo alcuni giorni, portando con se un una secchia presa in un pozzo fuori porta San Felice, come simbolo del trionfo. 
Questa secchia è ancora conservata dai modenesi, in una Sala a lei dedicata, nel palazzo della Ghirlandina a Modena

Il Castello di Zappolino, una fortezza con un perimetro di ottocento metri, resistette alla battaglia, ma non al terremoto del 1929, ora sono visibili alcuni tratti delle mura e gli archi d'ingresso.

Granfondo Colnago e Granfondo di Arezzo: i nostri risultati

È stata una Domenica di Granfondo quella di ieri, il gruppo era diviso tra il Lago di Garda alla Granfondo Colnago a Desenzano, valida per il Prestigio, e la Toscana con la Granfondo di Arezzo, valida come ultima prova del Circuito Toscano.

Bellissime prove entrambe e complimenti a tutti per aver terminato le Gare, con un grosso bentornato a Simone della Rocca, che dopo l'operazione all'ernia, torna alle gare con un buon risultato nel corto di Desenzano.

Un piccolo giallo però avviene alla Colnago.
Steve Baccigotti, alla fine della prova, non viene inserito in classifica, torna dalla giuria che si accorge dell'errore e lo reinserisce, mettendolo però molte posizioni indietro, ma soprattutto dietro a Ramon, quando in realtà, il buon Vecchio Steve lo aveva anticipato di anche parecchi minuti.
Errori che posso capitare anche alle migliori tecnologie.
Ma abbiamo ricevuto una segnalazione, che purtroppo non è correlata da prove, ma che lascia grossi dubbi sul fatto che possa essere un errore tecnico piuttosto che umano, un errore involontario piuttosto che voluto.
Mentre tagliava il traguardo Ramon avrebbe tirato fuori il suo famoso fazzoletto per soffiarsi il naso. Nel tirarlo fuori gli sarebbero cadute a terra alcune banconote rossastre somiglianti molto alle 50 euro. Le banconote cadute sarebbero state tre e sarebbero state raccolte da un giudice di gara.
A quel punto Baccigotti sarebbe improvvisamente uscito di classifica, riapparendo, solo dopo le proteste dell'ex giovane istruttore di scuola guida, dietro Ramon.

Misteri che non saranno mai svelati, ma che non cambiano molto la sostanza della giornata.
Aver tagliato il traguardo è la cosa più importante.
Vero Steve?   

Ps: La foto è stata rubata ad Alessandro Galluzzo

07 maggio 2017

Flash mob "Non si può morire così"

Eravamo pochi ma l'effetto è stato grande.

Il silenzio durante quei pochi minuti seduti in strada e gli sguardi di chi è passato una volta alzati, sono stati solo attimi, attimi che spero che facciamo pensare, e soprattutto che spero evitino altri attimi, secondi che possono decidere la vita o la morte di ognuno di noi.

Grazie a chi c'era, grazie ad Ale Galluzzo per le foto e soprattutto grazie a Paolo e Massimo per avere appoggiato questa mia stramba idea.

Cerchiamo di rispettare la strada, le sue regole e chi ne usufruisce.

Per Monica, Samuele, MariaLaura e Michele e per chi se ne è andato troppo presto.

Il video: https://www.youtube.com/watch?v=KrSN6hZJphI&sns=em

04 maggio 2017

Flash Mob Sulla Sicurezza in Strada in Bici e non solo.

La definizione che muore un ciclista ogni 35 ore è sbagliata.
Ogni 35 ore muore un uomo, o una donna, in sella ad una bicicletta.
Uomo, donna che possono essere papà, mamma, bimbo, bimba, nipote, nonno, nonna, zio, zia, amico, amica. Non muore solo un ciclista.
Non possiamo nasconderci dietro un dito. Spesso chi è in sella ad una bici non è esente da comportamenti inappropriati. Ma chi è in bicicletta è l’anello debole del traffico e in molti non riescono a capire che in strada non vige la legge del più forte, o del più grosso. Rallentare qualche secondo, usare il freno, non è peccato mortale. Non usarlo è peccato, spesso purtroppo mortale.
La strada è di tutti e tutti devono rispettare le sue regole, che tra l’altro in Italia non sono neanche così restrittive.
Nei primi mesi dell’anno gli incidenti che hanno portato via uomini e donne dai loro cari sono già stati troppi. E non solo in bici.
Monica a Gennaio stava attraversando la strada sulle strisce pedonali quando un uomo, in sella ad uno scooter, incurante di due automobili ferme che la stavano facendo passare ha continuato lo stesso la sua marcia, travolgendo Monica. A 42 anni Monica ha lasciato solo il Marito e un figlio di 8 anni. Monica non era un pedone, era una mamma.
MariaLaura, era in sella alla sua moto, davanti i suoi genitori in macchina. Ha deciso di superarli, li ha accostati quando una macchina l’ha travolta. È morta davanti ai suoi genitori. MariaLaura, non era una motociclista, era una figlia.
Samuele lo scorso anno era in moto quando all’improvviso ne ha perso il controllo. Dopo settimane di agonia se ne è andato. Non era solo un motociclista, non era solo un ex ciclista, era un Uomo.
Con la tragica morte di Michele Scarponi la sicurezza in strada della bicicletta e balzata agli occhi di tutti. Noi del Club Malini Bici ne stiamo parlando già da un po’ quando ci troviamo sulle strade la Domenica mattina. Negli ultimi anni i rischi sono notevolmente aumentati, insieme al traffico e alla cattiva guida di molti.
Non si può continuare a morire così!
Per questo abbiamo deciso di sensibilizzare la cittadinanza con un flash-mob questa Domenica 7 Maggio in centro a Casalecchio.
Ci troveremo, in bicicletta, alle ore 8:30 davanti al Centro Commerciale San Biagio in via Della Resistenza. In fila indiana andremo in via Marconi a Casalecchio, all’altezza del giardino dei Caduti  ci fermeremo.
Alle ore 08.45 scenderemo dalla bici, ci toglieremo il casco, appoggeremo una bici a terra con un casco terra, e un lenuolo bianco  e ci posizieremo a Piramide dietro la bici,  Staremo fermi, un paio di minuti, poi  e tra due ali faremo passare le automobili.
Sensibilizzeremo innanzitutto noi stessi a girare meglio per le strade, perché sull’asfalto non si sta comodi e cercheremo di far vedere, a chi non usa la bicicletta, che dietro al casco e alla divisa da ciclisti ci sono uomini e donne, padri e madri, figli e figlie.
Siete tutti invitati a partecipare con noi, chi usa la bici chi non la usa, chi ha perso parenti o amici in tragici incidenti.
Ci vuole veramente poco per evitare queste tragedie.
Basta solo rispettare le regole.
Se avessimo rispettato le regole, Monica, MariaLaura, Samuele, Michele e tanti altri sarebbero ancora qui con noi.
Domenica ore 830 Centro Commerciale San Biagio.

E visto che Bicicletta è anche divertimento:
Nel pomeriggio tutti al Bike Pride Bologna!
Noi Casalecchiesi ci troveremo davanti allo Spazio Eco ( in via dei Mille 26) intorno alle 14 (già mangiati) per raggiungere con calma la Montagnola



01 maggio 2017

1° Maggio 2017 Dieci Colli Bolognesi

Grazie Ragazzi
Avete partecipato alla storica 10 Colli Bolognesi, spero vi siate divertiti, perché ciò viene prima di tutto, anche prima delle classifiche!
Bravi a tutti!

Ciclabile Peschiera del Garda-Mantova

La pista ciclabile del fiume Mincio inizia a Peschiera del Garda, nei pressi del viadotto ferroviario e di porta Brescia (non lontana da un parcheggio gratuito in zona campo sportivo). Si snoda sull’argine destro del Mincio fino a Mondambano, dove passa all’argine sinistro; da qui prosegue verso Valeggio sul Mincio e Borghetto sul Mincio.
Questo percorso, oltre alle bellezze naturalistiche, offre la possibilità di visitare piccoli paesi e borghi dal fascino antico, dove si possono scorgere fortificazioni, palazzi ducali e altre attrazioni culturali e storiche. Molto suggestivo è il borgo medievale Borghetto sul Mincio, dove è consigliabile una sosta per pranzare tra i mulini a vento caratteristici della zona.
La ciclabile costeggia il Mincio fino a Pozzolo, dove parte una variante che conduce verso Volta Mantovana. Da qui in poi la pista si allontana dagli argini e prosegue lungo i canali della campagna mantovana, fino a raggiungere Mantova e, con un piccolo tratto in più lungo una stradina ciclopedonale lungo il Lago di Mezzo, arrivare fino alla piazza del Palazzo Ducale. La pista ciclabile del Mincio attraversa l’omonimo parco naturale regionale area protetta che interessa proprio la valle del fiume dal Lago di Garda fino alla sua confluenza nel Po. La varietà naturalistica, che va dalle colline moreniche alle pianure, dai corsi d’acqua ai laghi mantovani, ospita una gran quantità di specie di volatili, tra cui cicogne, aironi, falchi di palude e pellegrini e nibbi bruni. Perfetta dunque per il birdwatching, è molto piacevole da percorrere, e può essere un’interessante alternativa, o un possibile proseguimento, della ciclovia destra del Pò.
Personalmente l'ho percorsa diverse volte, con famiglia e amici, questa volta siamo partiti da Pozzolo sul Mincio, parcheggiato l'auto dietro la Chiesa del Paese, e da li ci siamo inseriti sulla ciclabile, che ci ha accompagnato a Peschiera in circa 22 km, il dislivello praticamente inesistente solo 64 metri. Arrivati a Peschiera abbiamo parcheggiato le bici, legate con lucchetti a volontà, un giro per la cittadina, un gustoso ristoro, e infine abbiamo "abbandonato" le ragazze ai giardini per circa due ore. Alle 16,30 abbiamo ripercorso l'itinerario in senso inverso, fino a raggiungere l'auto, poi così come tutte le cose belle finiscono....siamo tornati a casa.